Canadese di nascita (Toronto, Ontario, 1945) e californiano d’adozione, Neil Percival Young è poco più che ventenne quando, insieme a Stephen Stills, Richie Furay e Dewey Martin, fonda i Buffalo Springfield. La band si scioglie dopo soli due anni, lasciando un segno indelebile nella storia del Folk-Rock, e Young diventa in breve tempo uno dei punti di riferimento del songwriting americano. Proprio come l’amico-rivale Stills, che ritroverà nel supergruppo Crosby, Stills, Nash & Young. Rocker testardo e appassionato, dotato di una voce acuta e malinconica e di uno stile chitarristico inconfondibilmente grezzo e rabbioso, il loner canadese ha sempre giocato secondo le proprie regole, sfidando le leggi del music business e pagando a caro prezzo i propri errori. Tra alti e bassi, il suo percorso artistico ha attraversato i decenni e i generi musicali, spiazzando i numerosissimi fan in tutto il mondo: a cavallo tra gli anni 80 e i 90 la rinascita artistica con Freedom, l’elezione a “padrino del grunge” e l’ammissione alla Rock and Roll Hall of Fame (1995). Ad oggi, Neil Young resta uno dei grandi sopravvissuti della sua generazione, ancora capace di cavalcare con entusiasmo la propria creatività infiammando il cuore di vecchi fan incalliti e giovani ricercatori musicali. Densissima anche la sua carriera collaterale, con numerosi film all’attivo come regista sotto lo pseudonimo Bernard Shakey (‘Human Highway’, ‘Greendale’, ‘CSNY/Déjà vu’, …). Fondatore del festival benefico The Bridge, a Neil Young si sono interessati a loro volta diversi registi, per colonne sonore o per filmarlo in azione: da segnalare particolarmente il documentario di Jim Jarmush ‘Year of the Horse’ (1997) e la trilogia firmata da Jonathan Demme tra il 2006 e il 2011.

 

The Monsanto Years
Warner, 2015 – ★★★★★

Instancabile, ispiratissimo, idealista, per i suoi settant’anni Neil Young si regala (e concede) un disco tra i migliori di una carriera superba anche nel misurare quantità e qualità. Dismessi come ferri vecchi gli amici dei Crazy Horse, o quel che ne rimaneva, stavolta il caro Neil si associa ai Promise of the Real, ovvero la band fondata e guidata da due figli dell’amico Willie Nelson, Lukas e Micah. Prevalentemente elettrico, dell’asprezza tipica delle sue crociate sonore più accese, l’album è introdotto da una copertina che riecheggia il quadro ‘American gothic’ del ′30 solo che stavolta protagonisti sono Neil e la sua compagna, l’attrice Daryl Hannah. In 50 minuti, lungo nove canzoni dove svettano la grave, tempestosa Big Box, ma pure A New Day For Love, Workin’ Man e il singolo A Rock Star Bucks A Coffee Shop in cui Young fischia con una letizia direttamente proporzionale all’acredine del testo, troviamo le invettive e la denuncia dei suoi momenti politicamente più tesi e scalpitanti. Nel mirino la multinazionale del titolo, ma anche WalMart e Starbucks, per il modo in cui maltrattano il pianeta e i consumatori. Magari un tantino didascalico e naïf, ma il radicalismo di Young conforta: una voce “contro” dalle radure del Rock, fortunatamente, si può ancora levare. C’è chi dice no: se si tratta di Neil, stiamo sereni.

 

Canzone: Big Box

In the streets of the capital corporations are taking control
Democracy crushed at their feet
Money flows free from the sky to those who come along
Some way, somehow, we will prevail, but now

How can we regain our freedom
Lost by our own laws we must abide
When will we take back our freedom
To choose the way we live and die