Innamorati di Blues e Rock’n’Roll, nutriti dalla grande musica in arrivo dagli Stati Uniti, gli inglesi Rolling Stones sono appena ventenni quando esordiscono nel luglio 1962 al Marquee di Londra. In pochi mesi la formazione si stabilizza attorno a Mick Jagger (1943, voce), Keith Richards (1943, chitarra), Brian Jones (1942-1969, chitarra e strumenti vari), Bill Wyman (1936, basso) e Charlie Watts (1941, batteria). I primi sforzi discografici sono improntati alla riproposizione di brani Blues, Soul e Rhythm & Blues americani. Poi, nel 1965, il successo del singolo Satisfaction dona loro la sicurezza necessaria per affidarsi a un repertorio interamente autografo, oltre a lanciarli come sex symbol dal fascino inquieto. Grazie a un’astuta campagna pubblicitaria, diventano la cricca più pericolosa d’Inghilterra, gli anti Beatles, la «greatest Rock’n’Roll band in the world», secondo una celebre e iperbolica definizione coniata dal loro tour manager. Sono anche un fenomeno di costume, circondati dalle attenzioni isteriche delle fan e braccati dalle polizie di mezzo mondo per l’uso sfacciato di droga e un’esistenza scapigliata. Non sono grandi musicisti, ma a partire dal 1968 la loro proposta musicale e, grazie all’aiuto di produttori e session man di valore, sfornano a cavallo fra anni 60 e 70 un poker di dischi epocali. La serie di pezzi pubblicati su 33 e 45 giri è impressionante e segna indelebilmente la storia del Rock: Jumpin’ Jack Flash, Sympathy For The Devil, Gimme Shelter, You Can’t Always Get What You Want, Brown Sugar sono solo alcuni titoli, spesso basati su riff formidabili ideati dall’inesauribile Richards. Continuano a dispetto di tutto e di tutti: l’allontanamento e la scomparsa di Jones, il turnover, il cambiamento delle mode, le tragedie come quella di Altamont dove nel ’69 un ragazzo del pubblico viene accoltellato a morte. Jones è sostituito da Mick Taylor (1949), che a sua volta è rimpiazzato da Ron Wood (1947), perfetto complice per le scorribande, non solo musicali, di Richards. Quando il consumo di eroina rende inaffidabile quest’ultimo, la guida della formazione finisce nelle mani di Jagger che concede al Pop più di quanto il chitarrista vorrebbe. I contrasti personali fra i due sono talmente acuti che uno dei loro album di maggior successo, Tattoo You del 1981, viene assemblato usando vecchie session. Quando a fine anni 80 i due si riconciliano, inizia una nuova epoca d’oro della band, per lo meno dal punto di vista degli incassi perché i dischi sono nella migliore delle ipotesi una brillante riproposizione di una formula affinata in anni d’attività. Nel 1993 Wyman lascia il gruppo, ma non importa: la malia di una leggenda che non cede a urti e fatica continua oltre il mezzo secolo d’attività, mentre il loro show si conferma nel tempo una formidabile macchina di entertainment, con concerti accompagnati da espedienti visivi sempre più spettacolari.

 

Beggars Banquet
Decca, 1968 – ★★★

Sempre circondati da polemiche e censure (stavolta è la copertina a uscire bianca, costringendo a un ritardo di sei mesi sul previsto, senza le annunciate immagini provocatorie), Mick, Keith e compagni risolvono ogni discussione alla loro maniera: con un pugno di grandi canzoni, percorse da un’esaltante energia di rivolta. Beggars Banquet è un’opera potente e sfrontata, lacerante e capricciosa, sovraintesa da un paio di capolavori come Sympathy For The Devil e Street Fighting Man che consegnano la leadership definitiva a Jagger e Richards, con Jones poco a poco in via di (auto)emarginazione.

 

Canzone: Sympathy For The Devil 

Pleased to meet you
Hope you guessed my name, oh yeah
But what’s confusing you
Is just the nature of my game
Just as every cop is a criminal
And all the sinners saints
As heads is tails
Just call me lucifer