Una sentenza della Cassazione depositata il 25 settembre scorso (n. 39945) ha decretato che, per i reati di violenza sessuale, si deve prestare attenzione a un criterio “qualitativo”. In base a questo criterio è stato infatti accolto il ricorso di un quarantottenne, responsabile di uno stupro completo ai danni della moglie, e l’accoglimento ha portato ad annullare (limitatamente al riconoscimento di attenuanti in suo favore) la sentenza di condanna pronunciata contro di lui in appello. Non è che l’uomo avesse violentato la sua vittima un numero di volte inferiore a quelle necessarie per poter essere condannato alla pena che gli era stata inflitta in appello: secondo la Cassazione, invece, c’è stupro completo e stupro completo.

Perché, si dichiara nella sentenza, «così come l’assenza di un rapporto sessuale ‘completo’ non può, per ciò solo, consentire di ritenere sussistente l’attenuante, simmetricamente la presenza dello stesso rapporto completo non può, per ciò solo, escludere che l’attenuante sia concedibile, dovendo effettuarsi una valutazione del fatto nella sua complessità». I giudici hanno attribuito fondamento alle motivazioni del ricorso del violentatore, nel quale si sostiene che, al fine di stabilire la gravità di un reato di stupro, dovrebbe «assumere rilevanza la qualità dell’atto compiuto (e segnatamente il grado di coartazione, il danno arrecato e l’entità della compressione) più che la quantità di violenza fisica esercitata».

La Suprema Corte ha anche scritto:

ai fini della concedibilità dell’attenuante di minore gravità, assumono rilievo una serie di indici, segnatamente riconducibili, attesa la ‘ratio’ della previsione normativa, al grado di coartazione esercitato sulla vittima, alle condizioni fisiche e mentali di quest’ultima, alle caratteristiche psicologiche, valutate in relazione all’età, all’entità della compressione della libertà sessuale e al danno arrecato alla vittima anche in termini psichici.

 

Se così non fosse, continuano i supremi giudici, si riprodurrebbe la «vecchia distinzione, ripudiata dalla nuova disciplina, tra ‘violenza carnale’ e ‘atti di libidine’ che lo stesso legislatore ha ritenuto di non focalizzare preferendo attestarsi sulla generale clausola di ‘casi di minore gravità».

Aiutateci a capirvi, giudici e avvocati. Intanto, dimostrando buona volontà, sostituite coartazione con costrizione (o, tutt’al più, coercizione).

***

Condividilo con un tweet:

Per il giuridichese è coartazione. Tu #dillofacile: costrizione. http://bit.ly/1mMBV9e