Dialogo composto negli ultimi dieci giorni di maggio del 1824. Lo schema adottato è quello del dialogo illuminista. Un Islandese abbandona il consorzio civile per cercare un luogo in cui vivere in tranquillità assoluta. Giunto in una zona mai prima esplorata dell’Africa equatoriale si imbatte in una donna gigantesca che è la personificazione della Natura. Il viaggiatore si lamenta con lei di non riuscire a trovare alcun luogo in cui gli sia possibile di vivere senza molestie. Quando non siano gli altri uomini a procuragli disagio, interviene lei, la Natura, con caldo, freddo, umidità, nevi, ghiacci, insetti, malattie, terremoti ecc. a tormentarlo, cosicché l’Islandese accusa la Natura di essere nemica dell’uomo, di perseguitarlo invece di difenderlo. Ma la Natura obietta che non c’è nulla di volontario nel suo agire: è tutto casuale. L’universo è soggetto a un ciclo continuo di creazione e distruzione. Mentre i due così ragionano sopraggiungono due leoni che divorano l’Islandese. Secondo altri, mentre così parlavano, si leva un vento che stende a terra l’Islandese e lo ricopre di un cumulo di sabbia.

Testo di riferimento: G. Leopardi, Operette morali, a cura di O. Besomi, Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 1979.