Iniziato nel 1817, l’«immenso scartafaccio» – come lo chiamò Leopardi – raggiunse la mole di 4526 pagine manoscritte nell’arco di quindici anni; l’ultimo appunto è del 4 dicembre del 1832. È uno sterminato laboratorio in cui si alternano innumerevoli argomenti e registri di scrittura: dall’abbozzo poetico all’aforisma; dalla memoria autobiografica all’analisi linguistica e filologica; dal trattato estetico e letterario alla riflessione sui grandi temi dell’esistenza (l’essere, il nulla, la noia, il piacere ecc.); dalle pagine sui comportamenti individuali e sociali a quelle sulla percezione dei suoni e sulla vista di oggetti che suggeriscono l’infinito (nuclei centrali della poesia leopardiana). Col titolo Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura, l’opera fu pubblicata postuma da una commissione presieduta da Carducci (1898-1900); il titolo Zibaldone di pensieri (tratto come il precedente dagli indici dell’autore) è stato assunto dall’edizione a cura di Francesco Flora (1937) e poi dall’edizione critica a cura di Giuseppe Pacella (1991).

Testo di riferimento: G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, a cura di G. Pacella, Milano, Garzanti, 1991.