Pietro Aretino si misura inizialmente con il genere cavalleresco su sollecitazione del suo protettore Federico Gonzaga, che, per celebrare adeguatamente le glorie della sua famiglia, vorrebbe una sorta di equivalente mantovano dell’Orlando furioso dell’Ariosto. Ma, dopo aver composto alcune migliaia di stanze, l’autore distrugge tutto, salvando soltanto poche centinaia di ottave che vanno a costituire l’inizio di due poemi, la Marfisa e l’Angelica, peraltro mai portati a termine. Più tardi l’Aretino proverà con il poema eroicomico, con i due abbozzi dell’Orlandino e dell’Astolfeida, anch’essi mai conclusi. Tutto ciò dimostra in maniera inequivocabile la sostanziale incapacità dell’autore di affrontare un genere che richiedeva un tipo di creatività incline al meraviglioso.

Testo di riferimento: P. Aretino, Poemi cavallereschi, a cura di D. Romei, Roma, Salerno Editrice, 1995.