Non è facile prendere appunti, almeno per me.
La difficoltà – ripeto, almeno per me – sta nel mantenere a livello di notazione quello che sboccia in testa e che vuoi semplicemente fermare per non dimenticarlo: è una suggestione, una sensazione, un pensiero, ma quando cominci a scriverlo, anche solo con un paio di parole, diventa una narrazione e in qualche modo si struttura. Un po’ come accade con i sogni, che quando cerchi di ricordarteli dopo sveglio non sono più come prima.

Questo soprattutto per quelli che – come me – pensano con le parole e dentro le parole, tanto che anche adesso che ogni tanto mi capita di avere a che fare con le immagini, se devo fermare un luogo o un volto, mi viene più istintivo tirare fuori un taccuino che la macchina fotografica.
Il problema è che un appunto – sempre per me – dovrebbe restare aperto per essere elaborato in un altro momento, quando si hanno a disposizione tutte le direzioni che può prendere e tutto il tempo per seguirle.
E invece appena comincio a scriverlo anche solo su un taccuino ecco che si incanala su una sequenza di aggettivi, assonanze e congiunzioni la cui scelta, anche se istintiva, già prefigura una strada. Certo, sta all’esperienza e alla sensibilità dello scrittore tornare a vedere oltre quella direzione, usando l’appunto come un trampolino e non come un’uscita d’autostrada.
Però – per me – non è facile.
Per un po’ di tempo ho usato un escamotage grafico: disegnavo quadretti o rettangoli da cui facevo partire frecce al cui termine mettevo parole. Valeva soprattutto per il momento di riordinare gli appunti presi in ordine sparso e con vari mezzi di fortuna: sintetizzare con pochissime parole e soprattutto astrarre con la geometria mi distaccava dalle strettoie narrative che l’appunto mi avrebbe imposto. Per uno come me, che improvvisa pagina per pagina e addirittura riga per riga, che tra le due razze di narratori – Faccio la Scaletta, Non Faccio la Scaletta – appartiene decisamente alla seconda, sentirsi libero di seguire l’istinto con i suoi ritmi e le sue immagini, è essenziale.
Un giorno, poi, ho avuto l’occasione di sentir parlare Roman Polanski che raccontava di come prendeva appunti e li riordinava per i suoi film: riassumeva le scene su post-it e li attaccava su una porta. Sintesi estrema e possibilità di cambiare le sequenze, perfetto (per me). Il bagno del mio studio ha una grande porta bianca e lì sopra finiscono i miei appunti, sparsi o ordinati per dimensioni e colori.
Un mosaico, insomma, che cambia forma continuamente.