La Terra scrive usando caratteri che precedono Babilonia: se l’umanità ha perso la memoria del linguaggio universale della natura, e ogni popolo si è inventato segni e idiomi astratti – indecifrabili senza uno studio specifico – continenti, mari e cieli non si sono mai fatti contagiare dalla confusione delle lingue. Il loro linguaggio è lo stesso ovunque. Ma tornare a comprendere la scrittura della Terra è ancora possibile? E se sì, cosa dice veramente?


Per me, da ragazzo, quando abitavo e studiavo a Milano, era una domanda vitale. Mi era chiaro che non potevo prendere per buone le risposte degli uomini, perlomeno non prima di aver interpellato la natura. Avevo frequentato territori naturali fin da bambino, specialmente le montagne. Ma vacanze e brevi visite non potevano bastare. Cercavo le rivelazioni originali di un’esperienza da vagabondo della natura: volevo immergermi nel suo divenire, riconoscere una via tra le sue creature e i suoi eventi. Un segno ancestrale della Terra, vicino a casa, mi ha invitato: la linea della catena delle Alpi, che dal Mar Ligure all’Adriatico si inarca in una successione continua di monti e valli. Le grandi catene di montagne, come anche le foreste, i fiumi, i deserti caldi o gelati, non sono ostacoli, ma vie da percorrere a piedi. Spazi di incontri e di conoscenza.

MichieliCon questa prospettiva, a 19 anni sono partito il pomeriggio stesso dell’esame di maturità. Dalla spiaggia di Ventimiglia, con amici che si sono dati il cambio al mio fianco, ho camminato e scalato montagne per 81 giorni, fino a Trieste. Avevo nel mio zaino solo l’essenziale – niente tenda, dormivo all’aperto, sotto le stelle – e compravo viveri ogni tanto nei villaggi alpini. La mia vita è cambiata, perché dalle montagne mi sono sentito accolto. Paure e timori – la stanchezza, l’ignoto, la solitudine delle notti, il maltempo – mi hanno mostrato di essere vólti amici, non nemici. Talmente bello è vivere in cammino per le montagne, così rasserenante è quella vita, che poi, nel corso degli anni, sono partito per simili traversate a piedi decine di altre volte. Pirenei, Scozia, Islanda, Groenlandia, molti arcipelaghi oceanici, e poi sulle Ande e in Norvegia. Qui, per 150 giorni, ho vissuto il mio cammino più duraturo.

Dopo molte esperienze, mi sono accorto che il linguaggio della Terra mi era ormai familiare. Andamento delle montagne, reticoli dei fiumi, forme dell’erosione, posizioni apparenti del sole nelle diverse ore, direzioni del vento, stelle dell’Orsa: non è forse sufficiente per esplorare la Terra e orientarci? Così, con un vecchio amico, ho vissuto una nuova prima partenza: questa volta attraverso la Lapponia, senza carte né bussola, né orologio, né alcuno strumento tecnico per l’orientamento o le telecomunicazioni. Risultato? Per tre settimane e per 600 km non abbiamo mai perso la rotta, anche quando non sapevamo dove eravamo e dove stavamo andando. Prima o dopo, sempre appariva qualcosa che ci confermava la via.

Da allora molte volte sono ripartito lungo simili vie invisibili: meravigliosamente ignote prima, durante e dopo averle percorse. Perché la scoperta forte, indimenticabile, è che accettando di perdersi si permette alla via di trovare noi. Quando ci togliamo di dosso le protesi tecnologiche che sostituiscono relazioni autentiche, allora la natura ci parla e ci trasforma.

 

© Franco Michieli.

Foto credit: Howie Nordstrom