Il congiuntivo è il modo verbale che esprime concetti come la possibilità, l’eventualità, il dubbio, la speranza, l’esortazione. Utilizzato soprattutto in alcune frasi dipendenti, l’attenzione sul congiuntivo da parte di linguisti e professori è oggi dettata da una vera o presunta crisi del suo impiego. Anche nella forma scritta la tendenza è infatti quella di una semplificazione della frase: sempre meno articolata, sempre più povera di proposizioni subordinate che rendono complessa la gestione di periodi lunghi e argomentati. Il risultato è che l’indicativo tende a sostituire il congiuntivo, e non soltanto nel parlato, ma anche nello scritto dove la norma grammaticale, perfino la più semplice, viene ignorata e sacrificata attraverso scorciatoie e gradi diversi di accettabilità. Ad esempio, la frase Chiunque abbia letto “I promessi sposi” potrà comprendere il messaggio morale dell’autore osserva un registro alto e formale, da consigliare in un tema, mentre la variante Chiunque ha letto “I promessi sposi” potrà comprendere il messaggio morale dell’autore risponde a un’esigenza meno formale che, sebbene venga accettata anche nello scritto, non è tuttavia consigliabile.

 

Gli errori grossolani del ragionier Fantozzi nel celebre film di Paolo Villaggio sono soltanto la versione più evidente e marcata dell’incertezza che circonda il congiuntivo: vadi, facci, dassi e stassi rappresentano infatti le forme più diffuse di un uso scorretto al posto di vada, faccia, desse e stesse. Ma l’elenco potrebbe continuare indicando una serie di opzioni non sempre accettabili a livello di lingua scritta: nella costruzione del periodo ipotetico, ad esempio, in cui il congiuntivo è spesso sostituito dall’indicativo (se sapevo che era stata assente alla spiegazione, non la interrogavo invece di se avessi saputo che era stata assente alla spiegazione, non l’avrei interrogata); nelle comparative (è più facile di quanto pensavo invece di è più facile di quanto pensassi).

Intanto, una prima domanda. Perché vadi/vadino e facci/faccino sono forme sbagliate del congiuntivo presente dei verbi andare e fare? Bisogna considerare che la lingua spesso funziona “per analogia” estendendo una certa costruzione anche a modi e forme a prima vista simili o affini. I verbi della prima coniugazione (come mangiare, cantare, sollevare) hanno il congiuntivo presente nella terza persona singolare in -i (mangi, canti, sollevi) e quello della terza persona plurale in -ino (mangino, cantino, sollevino). Assimilando il verbo andare alle forme della prima coniugazione, soprattutto nella lingua parlata si tenderà a commettere l’errore di dire vadi o vadino. La storia di questo verbo invece ci spiega i motivi di questa irregolarità: andare deriva infatti da un incrocio di due verbi latini, ambulare e vàdere. Proprio da quest’ultimo derivano le forme del verbo andare con il tema vad-. Dal momento che vàdere appartiene alla seconda coniugazione esso presenta il congiuntivo in -a (leggere > legga; spingere > spinga, ecc.): e quindi si dirà correttamente vada e vadano.

Come si vede, la lingua presenta delle irregolarità che possono tuttavia essere chiarite mediante un uso appropriato del vocabolario e una buona conoscenza della norma grammaticale.

Ma allora, quando si adopera il congiuntivo? Nelle proposizioni finali (introdotte da affinché, perché, per fare in modo che); nelle proposizioni concessive (quando sono introdotte da benché, sebbene, per quanto, malgrado, ancorché, quand’anche, quantunque, nonostante); nelle temporali (introdotte da prima che); nelle esclusive (introdotte da senza che); nelle eccettuative, che sono quelle proposizioni che limitano il significato espresso nella reggente (per esempio dopo locuzioni come eccetto che, salvo che, a meno che); nelle proposizioni di adeguatezza, che sono delle forme particolari di consecutive valutative (esempio: il ragazzo ha studiato troppo poco perché possa accedere alla classe successiva).

Poi vi sono le locuzioni congiuntive (ammesso che, concesso che, a patto che) e le congiunzioni ipotetiche (se anche, se mai, casomai, ove, qualora) che vogliono in entrambi i casi il verbo al congiuntivo.

Una questione di registro e di stile riguarda le interrogative indirette, che pongono di fronte ad una scelta duplice: nella forma scritta, ad esempio in una frase che potremmo utilizzare in un tema (bisogna chiedersi quale sia la ragione per cui Leopardi matura una così complessa strutturazione del suo pessimismo) è senza dubbio da preferire la forma con il verbo al congiuntivo, mentre nell’uso parlato si accetta anche l’indicativo.