La parola al traduttore

Tradurre è molto più che trasporre un testo da una lingua a un’altra, ed è un’operazione ben più complicata che mettere in riga i significati delle parole. Tradurre, infatti, significa ricreare e reinventare un testo sfruttando le potenzialità della lingua.

A cura di Simona Mambrini

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Elogio del dizionario


La parola ha una vita sua e ispira chi traduce con la sua capacità di evocare immagini e suoni, soprattutto se è ricca di connotazioni. Ma anche se la parola è semplicemente denotativa, finché non si trova continua a seminare scompiglio sulla tastiera. È a questo punto che mi viene di nuovo in soccorso il dizionario in italiano. Ma come si fa quando la parola in italiano non c’è?

Il doppio gioco dell’ironia


Confrontarsi con i giochi di parole può essere una vera e propria sfida, perché non sempre è possibile mantenere in equilibrio la polisemia d’origine con la resa linguistica nella bilancia della traduzione finale. E se la lingua di arrivo non fosse abbastanza “ospitale” per l’ironia della lingua di partenza?

Tradurre la metafora: l’oca di Virginia Woolf


Tradurre ci piace perché ci permette di viaggiare, oltre che nel tempo e nel mondo dello scrittore, anche nel suo universo mentale, scoprendo percezioni e punti di vista molto lontani dai nostri. Da ogni viaggio nella traduzione usciamo arricchite e più flessibili, come se davvero fossimo andate lontano. Il nostro corpo era seduto alla scrivania, ma la mente… la mente ha viaggiato e ha ampliato i propri orizzonti.

Le circumnavigazioni del traduttore


Se potessi ricordare tutto ciò che ho imparato traducendo, sarei un esperto di Seneca e di vini francesi, di giurisprudenza danese e parassiti africani, di sintomi di avvelenamento da radiazioni, geologia, droga, armi da fuoco e caccia alla foca. Invece no. Invece fatico più di altri persino a tenere a mente i concetti della vita quotidiana, nella quale peraltro le tecniche di caccia alla foca non avrebbero nemmeno un loro perché.

Tradurre la lingua nel tempo


Partecipando alla recentissima operazione di trascrizione di novelle del Quattrocento e del Cinquecento italiano a cura di Elisabetta Menetti (Novelle stralunate dopo Boccaccio. Riscritte nell’italiano di oggi, Quodlibet 2012) sono incappata in un altro scoglio che spesso affiora quando ci si trova a tradurre da altri mondi e da altre culture: il linguaggio metaforico.

‘To frown’, ‘to roll one’s eyes’, ‘to shrug’: tradurre la mimica giovanile


Esiste un fenomeno, ormai piuttosto diffuso e codificato nella letteratura di lingua inglese di genere Young Adult, che rischia di contaminare anche l'italiano e riguarda uno slittamento di significato, non ancora registrato dai dizionari, in certe parole o espressioni. Alcuni verbi sono infatti segnali o simboli di “altro”, e di frequente è scorretto o vano tradurli attingendo in maniera automatica al repertorio dei vocabolari. Ma entriamo nel dettaglio.

Facile come girare all’insù il palmo della mano: tradurre i «chengyu»


Tra le numerose sfide che la lingua cinese pone ai traduttori ce n’è una dal sapore tutto particolare per la sua poetica singolarità: si tratta della traduzione dei chengyu, espressioni idiomatiche fisse di derivazione classica - generalmente di soli quattro caratteri - che illustrano in modo sintetico ma suggestivo un gran numero di concetti, arricchendo ancor oggi sia il testo scritto che la lingua parlata.

Le vie della traduzione sono infinite


Un po’ in affanno, come sempre e come tutti, arrivo all’ultima riga dell’ultima pagina del romanzo che sto traducendo (Elias Khuri, Facce bianche, Einaudi 2007). La storia è una sorta di inchiesta su un omicidio e si conclude con un nulla di fatto. L’ultima frase recita: “Gli scenari possibili, dunque, sono tre,” e già così il romanzo sarebbe coerentemente concluso. Sennonché, l’autore prosegue con una di quelle espressioni che fanno tremare i polsi ai traduttori...