Scritto nel 1818, restò inedito fino al 1906. Invano Leopardi ne aveva inviata la prima parte allo «Spettatore italiano», per rispondere polemicamente alle Osservazioni sulla poesia moderna di Ludovico di Breme, pubblicate su quel periodico nello stesso anno. Alle tesi romantiche – sostenitrici di una nuova poesia, svincolata dalle “favole” degli antichi – Leopardi ribatte che la vera poesia può essere solo il prodotto della fantasia, come era appunto quella degli antichi, la cui condizione “naturale” ognuno di noi ha sperimentato nell’età dell’infanzia. Il poeta moderno, non riuscendo più a parlare con la natura, avrà il grave compito non di imitarla, ma di “manifestarla”, ossia di liberarla dalle sovrastrutture della ragione. Con queste argomentazioni, Leopardi si avvicina inconsapevolmente al dibattito estetico dei grandi poeti inglesi e tedeschi suoi contemporanei.

Testo di riferimento: Tutte le opere di G. Leopardi, a cura di F. Flora, II, Milano, Mondadori, 1958.