Gian Vincenzo Gravina, filosofo, giurista e letterato vissuto tra il 1664 e il 1718, aveva un’idea della letteratura come luogo privilegiato in cui energia morale e forza fantastica potessero trovare il momento più alto di conciliazione. Per questa ragione era in polemica con il gusto letterario del Seicento e teneva invece in grande considerazione la poesia di Dante, poco apprezzata nel corso di quel secolo. Il tutto in una prospettiva in cui la letteratura, con la forza dei suoi miti, assolvesse un compito di educazione civile e fosse ispiratrice di un nobile sentire. Queste idee sono a fondamento sia della Ragion poetica (1708), la sua opera teorica più significativa in campo letterario, sia dell’impegno che aveva profuso nel 1690 nella fondazione dell’Accademia dell’Arcadia, l’istituzione che, nel suo disegno, doveva intraprendere un’opera di radicale revisione del gusto in letteratura. Ma, come è noto, il Gravina restò profondamente deluso dagli indirizzi presi dall’Arcadia, e ne uscì nel 1711 provocando una scissione che portò alla fondazione dell’Accademia dei Quirini.

Testo di riferimento: G. V. Gravina, Scritti critici e teorici, a cura di A. Quondam, Roma-Bari, Laterza, 1973.