L’operetta, pubblicata nel 1608, è il seguito ideale del Bertoldo. Croce narra come il re Alboino, addolorato per la morte di Bertoldo, inviti a corte la moglie Marcolfa e il figlio Bertoldino, che si guadagna le simpatie dei nobili per il buon umore e la semplicità d’animo. A differenza del padre, Bertoldino è soltanto un buffone, uno zimbello del re, ed è sempre in contrasto con la madre che, per saggezza e buon senso, diventa consigliera dei sovrani. Marcolfa, però, non si farà coinvolgere fino in fondo dall’ambiente cortigiano e se ne ritornerà nel suo villaggio con il figlio. Anche questo racconto interessa soprattutto per le soluzioni linguistiche, basate sull’equivoco delle parole, sui motti, sulle parodie e sulla satira dei generi letterari illustri. Lo spirito irriverente, ma mai eccessivo, fece la fortuna dell’opera di Croce, che subì adattamenti e continuazioni: la più nota è la Novella di Cacasenno (figlio di Bertoldino), di Alessandro Banchieri.

Testo di riferimento: G. C. Croce, Bertoldo e Bertoldino, a cura di P. Camporesi, Torino, Einaudi, 1978.