L’interesse di Ariosto per il teatro comico ha una lunga durata (dalla Cassaria in prosa del 1507 alla messa in versi di questa commedia e dei Suppositi nel 1529-31). L’autore, imitando il teatro latino di Plauto e Terenzio, inaugurò un nuovo genere teatrale: la commedia erudita in volgare, che tanto seguito avrebbe avuto nel corso del ‘500. Ariosto comincia con la prosa, cercando di trasferire in ambito teatrale la comicità propria del genere novellistico, finisce con il verso sdrucciolo, un verso che voleva riprodurre il senario giambico della commedia classica latina. L’impianto delle commedie ariostesche è lo stesso di quello classico, sia in relazione ai personaggi (i giovani innamorati, il padre avaro, il parassita, il ruffiano ecc.) sia in relazione alla vicenda (ambientazioni di maniera, intrecci romanzeschi, colpi di scena, agnizioni finali). Tuttavia, all’interno di una materia convenzionale, l’autore riesce a far passare anche dei riferimenti all’attualità.

Testo di riferimento: L. Ariosto, Opere minori, a cura di C. Segre, Milano-Napoli, Ricciardi, 1954.