Arlotto Mainardi, vissuto tra il 1396 e il 1484, titolare della pieve di S. Cresci a Maciuoli presso Firenze, fu per il suo spirito un personaggio molto noto della Firenze quattrocentesca, tanto che nella tradizione popolare cittadina circolavano numerosi racconti di burle che avevano lui per protagonista. Un amico del piovano Arlotto più giovane di lui, rimasto anonimo, raccolse la cronaca aneddotica delle sue imprese in 218 facezie, facendole precedere da una breve biografia. I racconti che costituiscono il libro hanno come oggetto casi curiosi, beffe, motti, nel solco della tradizione fiorentina inaugurata dal Boccaccio (le novelle di Bruno e Buffalmacco) e continuata dal Sacchetti (le novelle del buffone Gonella). Ne viene fuori un personaggio tra cronaca e leggenda, buontempone, salace, ricco di virtù contadine, tollerante nei confronti delle piccole debolezze umane, ma intransigente verso la mancanza di carità e l’avidità, soprattutto del clero: insomma un buon prete di campagna, benché spiritosissimo e burlone. Il libro fu portato a termine dall’anonimo intorno al 1490 e stampato per la prima volta intorno al 1514-16.

Testo di riferimento: Motti e facezie del piovano Arlotto, a cura di G. Folena, Ricciardi, Milano-Napoli, 1995.