Opera teatrale in versi dallo stesso Tasso definita «favola boschereccia», l’Aminta fu composta e messa in scena presso la corte estense di Ferrara nel 1573, e stampata per la prima volta da Aldo Manuzio il giovane nel 1581. Il pastore Aminta ama, non corrisposto, la ninfa Silvia, la quale non si induce a riamarlo nemmeno dopo che egli la salva dall’agguato di un satiro incapricciato di lei. Ma quando, appresa la falsa notizia della morte di Silvia, Aminta disperato tenta il suicidio, la ninfa si commuove e gli concede il suo amore. Opera letteratissima e raffinata, strettamente legata all’ambiente cortigiano, l’Aminta risale a modelli classici, oltre che al filone della letteratura pastorale italiana, che aveva avuto nell’Arcadia del Sannazzaro (1504) il suo capolavoro. È il più celebre dramma pastorale italiano e il suo successo, grande e immediato, diede l’avvio alla fortuna non solo italiana del genere.

Testo di riferimento: T. Tasso, Teatro, a cura di M. Guglielminetti, Milano, Garzanti, 1985