Nella crisi della poesia italiana della seconda metà dell’Ottocento, incapace prima con i poeti tardo-romantici, poi con gli scapigliati, infine con Carducci di trovare strade di rinnovamento che l’affranchino dal peso condizionante della tradizione e la rimettano al passo delle altre letterature europee, la vicenda poetica di Pascoli rappresenta una reale novità, anche se parziale e talora contraddittoria. Sul piano tematico il Pascoli introduce l’esperienza del soggettivo come percezione di emozioni momentanee; sul piano formale dissolve, pur nell’apparente rispetto esteriore, le strutture tradizionali della poesia, ricercando significati alternativi attraverso suggestioni sonore. Cardine della poetica di Pascoli è la concezione del poeta come «la voce del fanciullino» che è in ognuno di noi, in grado di cogliere gli aspetti essenziali e primari della realtà che vengono trascurati o repressi dall’intelletto. Tale sensibilità, infantile e rivelatrice, è strumento di una comunicazione sovrarazionale e necessita di una lingua simbolica e antiletteraria.

Testo di riferimento: G. Pascoli, Poesie, Milano, Mondadori, 1967.