Com’è cambiata la definizione di ghetto nel tempo? Quali nuovi significati ha assunto?

Lo scrittore Marco Balzano ha riassunto per noi la storia di questa parola in queste righe:

Su un’isola veneziana c’era una fonderia, chiamata in dialetto gheto, ossia “getto”, intendendo probabilmente quello del fuoco per fondere i metalli o quello con cui venivano colati. Gli Ebrei, nel 1517, vennero obbligati ad abitare su quell’isola. Il nome è sopravvissuto al loro confinamento e oggi richiama immediatamente alla memoria quelli di Roma o di Varsavia, dove, durante la Seconda guerra mondiale, si consumarono rastrellamenti ed eccidi nazisti. Ma il vocabolo, oltre a indicare l’esclusione sociale, politica o ideologica di una minoranza di persone, identifica case e quartieri angusti e malfamati. Per tutto il secolo scorso ghetto era anche sinonimo di “baccano”, “confusione”, ma questo significato è caduto gradualmente in disuso, mentre si è affermata la funzione aggettivale del nome: scuola ghetto, quartiere ghetto, per esempio, indicano delle situazioni limite in cui non si può imparare o crescere senza patire enormi difficoltà.