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Il 18 maggio è la Giornata Internazionale dei Musei: quale migliore occasione per dedicare un glossario al tema?

Partiamo dall’inizio: musèo, dal latino musēu(m), dal greco mousêion ‘tempio delle Muse’, da Môusa ‘Musa’ (1499), è il “luogo in cui sono raccolti, ordinati e custoditi oggetti d’interesse storico, artistico, scientifico, etnico e simili”; per questo, si parla di museo archeologico, di antichità, etrusco, egiziano, cristiano, zoologico, mineralogico, anatomico, etnografico a seconda di cosa contenga. Oltre al museo in senso tradizionale, esiste anche il musèo diffùso, “insieme di più siti museali sullo stesso territorio, fra loro coordinati”, nonché il musèo virtuàle, “museo reale visitabile a distanza sfruttando le tecnologie della realtà virtuale” e anche  “sito Internet che mette in mostra opere dislocate in luoghi diversi”. Museo ha anche degli usi figurati: si definisce museo degli orrori una “raccolta di oggetti o testimonianze che suscitano orrore” e anche, ironicamente, un insieme di cose brutte, sgradevoli. E come non ricordare l’espressione pezzo da museo in riferimento a una persona o cosa vecchia o antiquata?

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I musei non si chiamano solo genericamente così: esistono molte altre definizioni, a seconda del tipo di oggetti esposti; per iniziare, è detta anche gallerìa la “sala o complesso di sale comunicanti dove sono esposti quadri o altre opere d’arte”. La stessa parola identifica anche il luogo dove i quadri e altre opere d’arte possono venire acquistati. Il termine, attestato in italiano dal 1550, ha un’origine assai interessante: arriva a noi dal francese galerie, dal latino medievale galilāea ‘atrio della chiesa’, di uso conventuale, dal nome della regione palestinese (Galilea), con un passaggio semantico non chiaro; i consueti misteri dell’etimologia! Si chiama, invece, antiquàrium (neutro sostantivato del latino antiquārius  ‘che riguarda l’antichità’, 1889), il “museo che ospita raccolte di materiale archeologico nel luogo stesso di provenienza”, come quello di Paestum.

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Molto specifico è anche il nome pinacotèca: dal latino pinacothēca(m), dal greco pinakothḗkē, composto di pínax, genitivo pínakos ‘quadro’ e –thḗkē ‘-teca’ (1499) che, come si intuisce dall’origine della parola, si usa per indicare luoghi dove sono esposte solamente opere pittoriche. Al Museo del Prado, a Madrid, una delle pinacoteche più grandi del mondo, mi è capitata una cosa buffa, diversi anni fa: giravo in cerca delle stanze dedicate a Hieronymus Bosch, uno dei miei pittori preferiti, e solo dopo molti giri a vuoto mi resi conto che per gli spagnoli Bosch è El Bosco! A quel punto riuscii a seguire correttamente la segnaletica…

Il suffisso –teca è molto produttivo in italiano: forma numerosi lemmi, molti dei quali indicano tipi di collezioni e, sovente, anche il luogo dove tali collezioni sono conservate: cinetèca (1931), “raccolta o collezione sistematica e organica di pellicole cinematografiche; locale dove tale raccolta trova stabile sistemazione e dove spesso si effettuano proiezioni”; fonotèca (1970), “raccolta di dischi musicali, di nastri magnetici e simili di particolare interesse artistico, storico o culturale; edificio in cui si conserva questa raccolta”; gipsotèca (1885), “raccolta di gessi, raccolta di statue e bassorilievi in gesso, ricavati con calchi su originali in bronzo, marmo, terracotta e simili; il luogo dove viene conservata tale raccolta”; glittotèca (dal greco glyptós ‘inciso’, aggettivo del verbo glýphein ‘(in)tagliare, 1828), “collezione di pietre dure incise; luogo in cui tali pietre sono raccolte”; protomotèca (dal greco  protomḗ ‘testa, busto’, da protémnein ‘tagliare’, 1823) “raccolta, galleria di teste e busti scolpiti”.

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Delle “teche” che frequentiamo per scopi soprattutto di consultazione sono, invece, la bibliotèca (1292) “edificio o luogo ove sono raccolti e conservati i libri; raccolta di libri, catalogati con un minimo di sistematicità, destinati alla consultazione” e l’emerotèca (dal greco hēméra ‘giorno’ (per ‘giornale’) e thḗka ‘custodia’, attraverso il francese hémérothèque, 1923), “collezione di giornali e riviste”. E io sono abbastanza anziana da ricordarmi quando i film si andavano ancora a noleggiare in videotèca (1966), “raccolta di videoregistrazioni, generalmente su videocassette; luogo dove viene conservata una raccolta di videoregistrazioni”! Un altro termine da considerare è archìvio, (dal latino tardo archīvu(m) e archīu(m), dal gr. archêion ‘residenza dei magistrati’, da archḗ ‘comando, magistratura’, 1357), che indica una “raccolta privata o pubblica di documenti destinati a essere conservati; luogo o ufficio in cui tali documenti vengono conservati secondo determinati criteri atti a facilitarne la ricerca e il reperimento”.

Esistono anche luoghi che non possono certo essere definiti musei, ma che permettono di vedere animali di ogni sorta: il giardino zoològico o zòo, (su modello dell’inglese zoological garden, 1931),  “parco per l’esposizione al pubblico di animali, specie esotici, allevati in cattività”; oggi sono più numerosi i luoghi gestiti in maniera più attenta al benessere degli animali per cui si parla piuttosto di biopàrco, “giardino zoologico gestito con criteri che mirano alla conservazione di specie in via di estinzione”; l’acquàrio (sostantivo del latino aquārius, aggettivo di ăqua ‘acqua’, 1875), “vasca o insieme di vasche in cui si fanno vivere animali e piante acquatiche ricreandovi artificialmente il loro ambiente naturale; edificio in cui si trovano tali vasche”; il rettilàrio (1979), “parte di uno zoo opportunamente attrezzata per ospitare rettili; raccolta, mostra di rettili”, l’insettàrio (1940), “luogo in cui si allevano gli insetti a scopo scientifico o per esposizione”, l’aviàrio (dal latino aviāriu(m), da ăvis ‘uccello’, 1892) “grande uccelliera, specialmente nei giardini zoologici” e il delfinàrio (1987), “grande vasca nella quale vivono delfini specialmente addomesticati”.

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A chi invece preferisce frequentare i “musei delle piante”, non posso che raccomandare una visita all’òrto o giardìno botànico (dal greco botanikós, da botánē ‘erba’, av. 1698), luogo “in cui si coltivano piante a scopo di ricerca e di studio”; i miei preferiti sono i Royal Botanic Gardens a Kew, Richmond, alle porte di Londra (con serre vittoriane ricolme di piante tropicali) e i Singapore Botanic Gardens: un luogo dove, chiaramente, le piante tropicali non hanno bisogno di serre, e dove si può ammirare un’incredibile raccolta di orchidee, alcune delle quali rarissime.

Devo ammettere che io, da brava introversa, preferisco decisamente i “musei delle piante” a quelli… più tradizionali (che comunque non disdegno: non è la stessa cosa vedere un’opera in foto o dal vivo!), e ancor più amo i luoghi dove ci si può accostare alla natura in silenzio, per non disturbarla, osservandola nella sua meraviglia: la risèrva naturàle o naturalìstica, l’òasi di proteziόne faunìstica, il pàrco naturàle o nazionàle, la zòna protètta.