I legamenti testuali permettono la connessione tra le parti di un testo e garantiscono la scorrevolezza della prosa, la coesione tra gli enunciati, l’aderenza al tema di fondo. Ma come usarli? E soprattutto, in che modo? Ne abbiamo appena dato una semplice dimostrazione: le congiunzioni ma ed e a inizio di frase rappresentano un cambiamento netto nel senso del discorso, quasi un salto rispetto all’andamento naturale della frase. Nella prosa letteraria l’impiego del ma con funzione limitativa è molto diffuso ed esprime uno spostamento del punto di osservazione da parte di chi racconta. Lo stesso accade per la congiunzione e che ha due funzioni: una “aggiuntiva”, cioè di unire due eventi che sono sullo stesso piano; l’altra “esplicativa”, ovvero di collegare mettendo in evidenza però gli aspetti oppositivi, il contrasto o il rapporto di causa ed effetto tra le parti del testo (in questo caso assume il significato di pertanto, perciò, nonostante ciò, di conseguenza).

Vediamo nel vocabolario Zingarelli 2013 la definizione della congiunzione “ma”.

in principio di frase indica, con più forza della cong. ‘e’, il passaggio ad altro argomento: ma torniamo al discorso di prima; ma ammettiamo, se volete, che sia innocente; ma ecco che si avvicina uno sconosciuto

Zingarelli 2013

 

L’esempio che viene proposto è tratto da una pagina de Il nome della rosa di Umberto Eco: nel brano si può osservare l’utilizzo delle congiunzioni con valore di legamento testuale. Si tratta della prosa di un romanzo, molto diversa quindi dalla struttura di un tema d’italiano nella forma del saggio breve o dell’articolo di giornale. Tuttavia l’impiego delle congiunzioni conferisce alla tessitura testuale un andamento “dimostrativo”: la parte che precede il ma o la e costituisce l’antecedente, la premessa, mentre l’enunciato che viene introdotto dalla congiunzione, specialmente all’inizio del testo, contrasta con la premessa e rafforza l’effetto che si intende dare al discorso.

 

Molti di essi [i francescani] riscoprirono allora il libro di un monaco cistercense che aveva scritto agli inizi del Dodicesimo secolo dell’era nostra, chiamato Gioacchino e a cui si attribuiva spirito di profezia. Infatti egli aveva previsto l’avvento di un’era nuova, in cui lo spirito di Cristo, da tempo corrotto a opera dei suoi falsi apostoli, si sarebbe di nuovo realizzato sulla terra. E aveva annunciato tali scadenze che a tutti era parso chiaro che egli parlasse senza saperlo dell’ordine francescano. E di questo molti francescani si erano assai rallegrati, pare sin troppo, tanto che a metà secolo a Parigi i dottori della Sorbona condannarono le proposizioni di quell’abate Gioacchino, ma pare che lo fecero perché i francescani (e i domenicani) stavano diventando troppo potenti, e sapienti, nell’università di Francia, e si voleva eliminarli come eretici. Il che poi non si fece e fu un gran bene per la chiesa, perché ciò permise che fossero divulgate le opere di Tommaso d’Aquino e di Bonaventura da Bagnoregio, che certo non erano eretici. Dove si vede che anche a Parigi le idee erano confuse, o qualcuno voleva confonderle per fini suoi. E questo è il male che l’eresia fa al popolo cristiano, che rende oscure le idee e spinge tutti a diventare inquisitori per il proprio bene personale. Che poi quanto vidi all’abbazia (e di cui dirò dopo) mi ha fatto pensare che spesso sono gli inquisitori a creare gli eretici. E non solo nel senso che se li figurano quando non ci sono, ma che reprimono con tanta veemenza la tabe eretica da spingere molti a farsene partecipi, in odio a loro. Davvero, un circolo immaginato dal demonio, che Dio ci salvi.
Ma dicevo dell’eresia (se pur tale fosse stata) gioachimita. E si vide in Toscana un francescano, Gerardo da Borgo San Donnino, farsi voce delle predizioni di Gioacchino e impressionar molto l’ambiente dei minori. Sorse così tra loro una schiera di sostenitori della regola antica, contro la riorganizzazione dell’ordine tentata dal grande Bonaventura, che ne era poi divenuto generale.

 

Le congiunzioni ma ed e arricchiscono il testo di effetti che potremmo definire “a sorpresa”: in un classico tema d’italiano spezzano l’andamento lineare della prosa, creano elementi di contrasto, interrompono una trattazione che in certi punti potrebbe risultare monotona. Ma vanno usati con attenzione e soprattutto devono risultare correlati alle parti che precedono e che seguono l’enunciazione. Per questo motivo si addicono particolarmente alla tipologia dell’articolo di giornale, che richiede infatti una struttura della prosa più agile e scattante.