Altrove

 

Una quindicina di anni fa ho tradotto “Nel paese della magia”, secondo dei tre paesi immaginari che compongono Altrove, di Henri Michaux. A un certo punto vi si racconta di fuochi che la sera si vedono sparsi nelle campagne. Fuochi che, però, non bruciano; tanto che a malapena – “e ce ne vorrebbe uno particolarmente ardente”, dice il testo – si consumerebbe un fil de la vierge che ci passasse in mezzo.
Il dizionario francese Le Petit Robert riporta la locuzione fils de la Vierge (letteralmente: fili della Vergine): “fili di alcuni ragni che non fanno il nido, portati dal vento (per allusione poetica ai fili di seta venuti via dal fuso della Vergine Maria)”. Si tratta cioè di quei sottilissimi fili che ogni tanto si incontrano in campagna, soprattutto nelle giornate d’autunno, che i naturalisti fanno derivare da alcune specie di ragni che vivono sui rami degli alberi; mentre secondo un’antica leggenda normanna provengono dal fuso della Vergine Maria (la leggenda dice che la Vergine, mentre fila vegliando il sonno di Gesù Bambino, lascia che alcuni fili di seta si sparpaglino in aria, affinché gli uccellini abbiano un nido più caldo per l’inverno). La leggenda l’ho ricavata da Internet, ma all’epoca in cui traducevo potevo disporre soltanto di dizionari ed enciclopedie. Sapevo però, da un mio amico esperto di ufologia, che bioccoli di fili di ragnatela sono spesso ritrovati nei luoghi di avvistamento degli Ufo. E anche questi in francese sono chiamati fils de la Vierge. Inoltre, quando ancora gli Ufo non venivano avvistati, ma in compenso c’era una certa frequenza di apparizioni di madonne, nei luoghi delle apparizioni veniva spesso ritrovata questa materia filamentosa. Tanto che alcuni ufologi sostengono che le apparizioni di madonne del passato non erano altro che avvistamenti di Ufo non riconosciuti come tali. Sono inoltre riportati casi in cui questa materia filamentosa è stata trovata al suolo senza che se ne fosse in precedenza osservata la caduta; e altri ancora in cui, davanti a testimoni, si è dissolta come se sublimasse (cioè passasse dallo stato solido a quello aeriforme). In alcuni casi la si è potuta analizzare, e siccome i risultati variano di volta in volta (“vetro boro-silicico”, “fibra vetrosa”, “composto di alcuni elementi con l’acido adipico”, eccetera), alcuni scettici sostengono che in certi casi si tratta del cosiddetto “Chaff”, un materiale utilizzato a scopi militari per neutralizzare i radar nemici. La spiegazione naturalistica del fenomeno è invece che si tratta di matasse di ragnatela utilizzate da alcune specie di ragni per percorrere lunghe distanze (anche centinaia di chilometri) portati dal vento.
Traducendo con “filo di ragnatela” avrei restituito quanto denotato dall’espressione francese (e l’immagine di estrema sottigliezza), ma sarebbe venuto meno quello che l’espressione evoca, la sua connotazione soprannaturale, peraltro coerente con il contesto e il tono generale del libro (che racconta di un paese popolato da maghi, e dei loro prodigi). Ho quindi cercato di cavarmela traducendo liberamente con “capello di Madonna” (che in qualche modo restituisce sia l’immagine di sottigliezza che il rimando alla dimensione soprannaturale). Tra l’altro, quel mio amico di cui sopra, l’esperto di ufologia, mi aveva detto che in certe vecchie cronache di apparizioni di madonne riportate dagli ufologi i filamenti ritrovati sul luogo venivano chiamati appunto “capelli di Madonna” (probabile vecchia traduzione italiana di fils de la vierge; ma ho scoperto solo adesso, consultando il dizionario francese Littré in rete, che la locuzione cheveux de la Vierge oltre a significare i fiori di viburno e il bisso è talvolta utilizzato impropriamente al posto di fils de la Vierge). Tutto fa pensare a una transizione, sul piano lessicale e non solo, tra l’antica leggenda francese che associa i fili di ragnatela isolati al fuso della Madonna e la sostanza filamentosa presente nei luoghi di apparizione di Madonne prima, e avvistamenti di Ufo dopo.
Solo di recente, e grazie a Internet, ho scoperto che questa materia filamentosa ha un nome in molte lingue europee – angel hair in inglese, fibralvinas in portoghese e baba satanica in spagnolo – compreso l’italiano, in cui è chiamata “capelli d’angelo” (che è il calco dell’espressione inglese). “Capelli d’angelo” è quindi l’equivalente italiano di fils de la vierge nell’accezione ufologica. Sono pertanto incorso in errore traducendo “capello di Madonna” anziché “capello d’angelo”? A pensarci bene, direi di no. Sebbene entrambe le espressioni assolvano la stessa funzione (dare l’immagine di qualcosa di molto sottile con una connotazione soprannaturale), l’accezione ufologica dell’espressione italiana è posteriore, e quindi estranea, al libro di Michaux (il quale scrive Nel paese della magia alla fine degli anni ’30, prima dell’esplosione dell’ufologia, mentre l’espressione italiana è coniata per la prima volta nel 1952 dall’ufologo Renato Vasco; è invece molto probabile che non fosse estraneo a Michaux il fenomeno legato alle apparizioni di madonne). Inoltre, in questa accezione, l’espressione non è riportata da nessun dizionario, mentre è riportata dallo Zingarelli con altri due usi metaforici: 1) tipo di pasta molto sottile, detti anche capellini; 2) speciale tipo di lima al titanio, sottilissima e flessibile. Anche se molto remota, c’era pur sempre la possibilità che qualche stolto prendesse per metafora ciò che non lo era (soprattutto per ciò che concerne la seconda accezione: il titanio è un metallo, che per giunta fonde a temperature elevatissime…). Infine, e soprattutto, mi piaceva che nella traduzione venisse mantenuto il nome della Madonna, con tutto quello che evoca. È vero che nella traduzione italiana la sua comparsa produce un effetto di sorpresa assente nell’originale; ma, nel tradurre, per provare a cavarsela e limitare le perdite (che è il nocciolo di qualsiasi tentativo di traduzione), si è spesso costretti ad aggiungere qualcosa.

© Jean Talon Sampieri