Vivere una vita non è attraversare un campo
Un po’ di tempo fa ho cominciato a leggere, me l’aveva consigliato un mio amico, il libro di Robert Littell L’epigramma a Stalin, che, se ho capito bene, ricostruisce, in forma romanzesca, le varie vicende che discendono da una poesia di Osip Mandel’štam su Stalin, tra le quali l’arresto di Mandel’štam e una successiva telefonata di Stalin a Pasternàk nella quale Stalin chiedeva a Pasternàk perché non si era dato da fare per evitare l’arresto e la detenzione del suo amico Mandel’štam (Stalin lo chiedeva a Pasternàk, sembra che sia successo veramente così).
Il libro, in originale, era in inglese, e, nella traduzione italiana, la Literaturnaja gazeta (titolo di una celebre rivista letteraria prima russa, poi sovietica e poi russa) era diventata Literary Gazette, in inglese, chissà perché; avevo pensato che sarebbe come se, in un romanzo scritto in russo, ambientato in Inghilterra e tradotto dal russo in italiano The Times diventasse Vremena, forse.
Ma la cosa che mi aveva fatto più effetto, di quell’inizio, era stata l’epigrafe, che era tratta da una poesia di Pasternàk, Amleto (la prima poesia tra quelle che si trovano alla fine del Dottor Živago), che finisce con un verso bellissimo, che Zveteremich, il primo traduttore del Dottor Živago, traduceva così, se non ricordo male: «Vivere una vita non è attraversare un campo».
Io sono un po’ affezionato a questo verso perché quando mi è successo, tempo fa, di fare un incidente grave e di trovarmi in ospedale in prognosi riservata con delle ustioni abbastanza dolorose, mi veniva in mente continuamente questo verso, «Vivere una vita non è attraversare un campo», che in russo è una specie di proverbio, e in italiano, nella traduzione di Zveteremich, ha qualcosa che mi tocca e mi commuove, e quando la Feltrinelli ha pubblicato una nuova traduzione del Dottor Živago, pochi anni fa, sono andato a guardare subito come avevano tradotto questo verso (la traduttrice è Serena Prina) e la traduzione era: «Non è un gioco vivere una vita». Che, non so perché, non mi tocca e non mi commuove.
Nell’epigrafe del romanzo di Littell (la traduttrice è Sara Brambilla), questo stesso verso è diventato: «La vita non è una passeggiata in un campo». Che, anche questo, chissà da dove salta fuori questa idea di passeggiare (l’originale russo è: «Жизнь прожить – не поле перейти»).
©Paolo Nori