oràre //
[vc. dotta, lat. orāre ‘parlare’, poi ‘pregare’, da ōs, genit. ōris ‘bocca’, di orig. indeur. sec. XII]
A v. tr. e intr. (io òro; aus. avere)
(lett.) Pregare: udia gridar: ‘Maria, òra per noi’ (DANTE Purg. XIII, 50); andò alla chiesa, e orò al Salvatore (L. ARIOSTO) | (lett.) Implorare con la preghiera: orando grazia conven che s’impetri / grazia da quella che puote aiutarti (DANTE Par. XXXII, 147-148).
B v. intr. (aus. avere)
(lett.) Tenere un discorso, pronunciare un’arringa: orarono maestosamente dinanzi alle supreme assemblee (I. NIEVO).

peroràre //
[vc. dotta, lat. perorāre, comp. di per- e orāre ‘pregare’. V. orare 1475]
A v. tr. (io pèroro o raro, secondo il modello latino, peròro)
Difendere con particolare calore: il canonico … perorava la causa dell’amico (G. VERGA).
B v. intr. (aus. avere)
(lett.) Fare o pronunciare una perorazione.

perorazióne //
[vc. dotta, lat. peroratiōne(m), da perorātus ‘perorato’ 1554]
s. f.
1 Discorso in difesa di una tesi, di una causa ecc.: una perorazione appassionata e convincente.
2 Nella retorica classica, parte conclusiva di un’orazione, che cerca di suscitare commozione in chi ascolta. CONTR. Esordio.
SFUMATURE arringa.