spàṣimo / ˈspazimo/ o spàṣmo
[lat. spăsmu(m), dal gr. spasmós ‘spasmo’, da spân ‘tirare’, di orig. indeur. 1312]
s.
m.

Dolore acuto, lancinante: avere degli spasimi atroci; gli spasimi della fame, della morte; morire tra atroci spasimi | Sofferenza dell’animo, pena tormentosa: gli spasimi dell’amore | Massima intensità, limite estremo: tendendo gli orecchi fino allo spasimo (B.
Fenoglio
).


spaṣimàre / spaziˈmare/ o spaṣmàre
[da spasimo av. 1327]
v.
intr.
(io spàṣimo; aus. avere)

1 Patire spasimi fisici (+ da, + per): è una pena vederlo spasimare tanto; spasimare dal (o per il) dolore; Ho sete.
Spasimo dalla sete
(G.
D’Annunzio
).

2 (fig., lett.) Soffrire per affanno, agitazione, ansia e sim. (+ per): spasimare per le sventure di qlcu. | (fig.) Desiderare ardentemente (+ di seguito da inf.): spasimare di rivedere qlcu.; spasimare di partire | spasimare per qlcu., (lett. o scherz.) esserne innamorato: il crudel sa che per lui spasmo e moro (L.
Ariosto
).


spaṣimànte / spaziˈmante/
A part.
pres.
di spasimare; anche agg.

(lett.) Nei sign. del v.
B s.
m.
e f.

(lett. o scherz.) Innamorato, corteggiatore.