Intervista con Giuseppe Anastasi
In Scrivere una canzone, di cui sei coautore insieme ad Alfredo Rapetti Mogol, ci sono testimonianze inedite, scritte appositamente per il vostro manuale, di alcuni grandi cantanti e autori (Cristina Donà, Laura Pausini, Arisa, Mario Lavezzi, Simone Cristicchi, Ron, Mauro Ermanno Giovanardi, Beppe Dati, Oscar Prudente) su ciò che per loro significa scrivere una canzone. Ma per te, che nel libro ti sei occupato soprattutto della parte tecnica e metrica, cosa significa davvero, intimamente, scrivere una canzone?
Scrivere una canzone per me è pura terapia! Scoprire ogni volta una parte di me di cui conosco l’esistenza, che fa parte del mio essere, ma che ancora mi sorprende sempre.
Come diciamo nel libro, anch’io quando scrivo sono migliore che nella vita reale. Non sono una persona cattiva, ma quando scrivo sento di elevarmi, di distillare il meglio di me. E poi mi sorprende sempre vedere nelle persone le stesse emozioni che ho provato io quando ho scritto una canzone. Per fortuna capita spesso, anche se non sempre e non per forza.
Come sei arrivato alla musica e alla scrittura di canzoni?
Sono arrivato alla musica tramite… la musica. Mia madre teneva sempre la radio accesa, durante il tragitto da casa a scuola, e lì, dentro quella Fiat Uno bianca, si cantava che era una bellezza. Ascoltavo musica di tutti i tipi, purché fosse musica. Se dovessi farti dei nomi ti farei questi cinque: Battisti, De Gregori, De André, Beatles, Queen.
Musicalmente, Queen e Beatles mi hanno insegnato molto sulla costruzione di una melodia. I tre italiani invece mi hanno dato il gusto e il senso per la parola, per il suo senso. Un gusto prevalentemente letterario foondamentale quando scrivo il testo. Linguaggio comune, quotidiano, ma estremamente comunicativo. Canzoni come Pensieri e parole (il titolo dice già tutto), La guerra di Piero, Pezzi di vetro… Invece We are the champions, dopo tanti anni ancora, quando la sento, mi fa venire i brividi. Dei Beatles invece penso a Girl, che ha una delle più belle melodie sulla strofa che io abbia mai sentito.
Diciamo che è stato un incontro assolutamente naturale, ma non casuale. Sono fortunato ad avere nella vita una compagna di viaggio che amo così tanto.
Nel manuale hai scritto una cosa molto bella a proposito della canzone La notte che contiene le parole “stomaco, fegato e vomito”, che potrebbero essere considerate antipoetiche in una canzone con quell’atmosfera: ovvero che non stavi cercando la poesia, ma la verità.
Sinceramente non me ne sono mai accorto!
Facendo riferimento al testo della canzone La notte di Arisa, il fatto che le tre parole “stomaco, fegato, vomito” potessero risultare antipoetiche è una questione di cui non mi sono posto minimamente il problema. Ciò credo sia dovuto al fatto che la canzone è stata scritta di getto, non per fare musica, o per scrivere in rima, ma semplicemente per un bisogno emotivo. Quando l’ho scritta era notte, stavo in uno stato di squilibrio sentimentale, e lì è partito l’embolo! La canzone dopo 20 minuti stava li sul mio foglio, testo e musica. Quando l’ho riletta e poi ricantata non ho provato alcun fastidio e non ho cambiato nemmeno una parola. Mi sembrava tutto coerente, ma soprattutto era tutto vero! Avevo portato parte della mia anima sopra delle note, e quelle note parlavano al posto mio. È una sensazione straordinaria, non tanto aver scritto una bella canzone. La cosa che a tutt’oggi mi sorprende e mi fa adorare il mestiere di scrivere è che avevo capito come stavo io, come stavo affrontando la cosa, cosa avrei dovuto farne di quel dolore. Parecchie persone hanno commentato queste tre parole, chi con un po’ di scetticismo, dovuto alla durezza delle immagini che portavano alla mente, soprattutto in una melodia così evocativa, chi, per fortuna la maggior parte, le hanno trovate coerenti, in linea con l’emotività del pezzo. Io dico che erano semplicemente le uniche parole che avevo.
Nel vostro libro vengono esplorati e analizzati molti autori e cantanti, ma quello che forse riceve maggiore attenzione è Lorenzo Jovanotti. L’impressione è che più passa il tempo e più Jovanotti, che ha sempre scritto canzoni a un livello molto alto, stia crescendo ulteriormente e inesorabilmente, anche come autore di testi. Sei d’accordo?
Penso che attualmente sia il più grande di tutti. Sfortunatamente non ho la fortuna di conoscerlo personalmente, ma tramite le sue canzoni si capisce tanto di lui. Dall’inizio della sua carriera fino a Ora… la sua crescita è stata incredibile. Ma se andiamo a prendere anche le prime produzioni si vede un tipo di scrittura moderna, quotidiana, senza fronzoli, che arriva dritta al punto. In Sei come la mia moto, canzone che ho adorato, il testo sembra una piccola sceneggiatura. L’ascoltatore riesce a vedere questo pischello sulla sua adorata moto, che gira per la città consapevole di essere un gran fico, e l’amore viscerale per questa moto (ho sempre pensato a una custom) fa sì che questa povera ragazza, protagonista secondaria, si becchi un “sei come la mia moto”, così che si chiarisca subito qual è la prima vera passione! Ovviamente erano i primi passi, essere ventenni, per chi scrive, implica certe volte che hai troppa poca esperienza di vita da scrivere, ma il bisogno di raccontare c’è già, quello è incontrollabile. Con la maturità Lorenzo si è affinato, ha dato alla sua scrittura uno stile impareggiabile e poi, questa però è una mia convinzione, è una persona che crede. Crede nell’amore, nel concreto e nell’infinito, nel contatto, nella natura come potere primordiale, e quindi nell’universo come potere assoluto. Tutto con una scrittura semplice, priva di fronzoli, ma con una poetica straordinaria. In due parole, un grande.
Senti un po’… potresti darci una anticipazione di come sarà Sanremo 2013?
Di Sanremo sinceramente non so nulla, ed anche se sapessi qualcosa, per scaramanzia non la direi! Credo sarà un’edizione particolare…