Quando ho cominciato Bottega Finzioni sapevo di avere delle parole confuse in testa, dei personaggi, delle situazioni, ma nessuna idea sul come costruire una storia.

Tra i tanti progetti della scuola, ce n’era uno in particolare che mi ha fatto capire qual era la svolta. Avevamo fatto un gruppo di sole donne, eravamo in quattro, determinate a scrivere un film su Venezia. La cosa che ci affascinava era l’idea di costruire un mondo subacqueo nascosto nei fondali della laguna. Abbiamo passato diverse settimane a immaginare personaggi, luoghi, situazioni, regole di un mondo inventato, ma la storia ancora non c’era, o meglio ce n’era tante potenziali, però nessuna spiccava sulle altre. Ognuna di noi voleva raccontare qualcosa, probabilmente più di una, e non c’era un fuoco unico, non si capiva dove si voleva andare a parare. Un eventuale spettatore si sarebbe sentito catapultato da una parte all’altra sopra e sotto Venezia e l’unica cosa che gli sarebbe rimasta di quel mondo subacqueo sarebbe stato il mal di mare.

Non ci eravamo ancora rese conto che la nostra storia non reggeva per niente, poi con la revisione insieme agli insegnanti Michele Cogo, Giampiero Rigosi e ai nostri compagni, abbiamo capito che avevamo studiato i dettagli minimi, ma ci eravamo perse tutta la struttura che doveva tenere in piedi il film.

A quel punto dovevamo affrontare la crisi, rassegnarci a buttare via personaggi e visioni e ricominciare tutto da capo. Ci sono stati incontri confusi fatti di lunghe discussioni interrotte da lunghi silenzi e molte ore di lavoro senza produrre nulla di scritto.

A un certo punto, non si sa come, capimmo il senso delle parole dei nostri insegnanti: Qual era il concetto semplice e immediato su cui si reggeva tutto il film? Cosa volevamo dire? Qual era il cuore della nostra storia?

All’improvviso vedemmo il segreto svelato, lì davanti a noi. Il mondo subacqueo era l’immagine, era il pretesto per dire cosa? Discussioni, delusioni, riflessioni e alla fine capimmo che volevamo parlare di una seconda possibilità, era questo il cuore della storia. Il nostro mondo inventato e un po’ folle voleva essere la seconda possibilità per personaggi incasinati e persi nelle loro paure, di risolversi ed essere felici.

Avevo capito che una storia è come un umano, si crea prima il cuore e poi tutto il resto. Se qualcosa non funziona, bisogna sempre monitorare il cuore.

© Claudia Mastroroberto