Voliam… Ma perché un subito

pallore imbianca la tua bella guancia?…

 – Dio bono! quelle giuggiole

m’hanno fatto venire il mal di pancia. –

Rêverie, G. D’Annunzio

 

 

Avete mai sorbito, mai gustato il brodo di giuggiole?

 

In realtà esiste solo nell’espressione figurata andare in brodo di giuggiole per gongolare di gioia, andare in solluchero.

 

La giuggiola condivide la stessa sorte di molti altri scacciapensieri conviviali rotondeggianti  di piccola dimensione come le noccioline, le caramelle e i confetti: una tira l’altra!

E’ un frutto che matura all’epoca della vendemmia, viene di solito consumato fresco o leggermente appassito, quando risulta più dolce. In passato era spesso impiegato come ingrediente di base per marmellate e confetture: utilizzo di recente recuperato per quello che viene impropriamente denominato brodo di giuggiole.

Fin dai ricettari quattrocenteschi era noto invece uno sciroppo di giuggiole, dal sapore dolciastro e con effetti espettoranti: più tardi divenne pasticca di giuggiole, per indicare un confetto a base di estratto di giuggiole, gomma arabica e zucchero. Il termine finì poi per designare la sola pasticca di gomma arabica. Fra l’altro il frutto non un era cibo particolarmente indicato per le mense dei signori: il consumo, poco controllabile, creava costipazioni di visceri ed effetti indesiderati per i convitati a nobili banchetti. Con le giuggiole si poteva cucinare la carne, il pollame in particolare: una sorta di lesso a cui, a metà cottura venivano aggiunti cipolla, ciliegie, uva passa e giuggiole secondo una ricetta arabo-andalusa (muruziya) che pare essere stata alla base del nostrano ambrosino. Ma non è attraverso questa prelibatezza agrodolce medievale che si farà strada il nostro brodo di giuggiole. Forse l’etimologia e le fonti ci possono venire incontro per risolvere l’enigma.

 

La forma attuale del nome del frutto, giuggiola, deriva dal nome della pianta che in latino  era zizĭphum iuiuba (il frutto: iuiuba) e nel greco tardo zizoulà, secondo un processo piuttosto comune per cui il nome della pianta passa a designare il frutto. La forma del greco tardo è alla base del toscano ẓìẓẓola e veneto ẓìẓola e ẓìẓora, zone in cui l’albero cresceva copioso. Il medico senese Andrea Mattioli, laureato a Padova, nei sui Discorsi del 1568 non riconosce la tanto declamata potenzialità curativa delle giuggiole, tuttavia annota che sono particolarmente ricercate “da gli sfrenati fanciulli e dalle donne”.

 

Il Dizionario della Lingua italiana di Tommaseo-Bellini (1861-1879) ci attesta un brodo di succiole per indicare qualcosa “senza sostanza”, di nessun valore. Cosi succiola designa qualcosa di poco conto, scarso senso e capacità (Uomo da succiole, persona ignorante). Al contrario Andarsene in broda di succiole in senso figurato significa “godere assai di checchessia, averne particolare compiacenza”. Tommaseo-Bellini però non ci riporta alcun “brodo di giuggiole”.

 

La succiola (derivato dal verbo succiare, succhiare) in toscano indica la castagna cotta nell’acqua con la buccia (la castagna a lesso, opposta alla castagna arrostita), sinonimo della ben più attestata e diffusa ballotta nota in tutto il paese come una vera leccornia. Il succiolaio, sempre in toscano, indica il venditore di castagne lesse, e la succiolata una bella mangiata di castagne lesse.

Lo stesso castagno si può chiamare succiolo. Le castagne lesse, o ballotte, o succiole, con la loro poco rotonda dolcezza, morbida e farinosa, avevano fatto contente moltitudini di bambini che non conobbero mai il sapore delle caramelle. Erano veri e propri doni nelle occasioni di festa, che neppure i grandi disdegnavano: venivano distribuite come oggi si distribuiscono nelle feste nuziali rustiche i confetti, e regalavano agli invitati momenti di allegria in segno propiziatore di fecondità e benessere. Il medico padovano Michele Savonarola sulla fine del Quattrocento le definì non per nulla “confetto da montanari”.

 

Dobbiamo quindi supporre che ad un certo punto il brodo di succiole sia divenuto di giuggiole per somiglianza fonetica fra i due termini indicanti oggetti diversi (succiola e giuggiola), considerando che zizzola per giuggiola è termine dialettale comune sia al toscano ẓìẓẓola che al veneto ẓìẓola. Ballotta (castagna lessa cotta nell’acqua con la buccia) e giuggiola d’altronde condividevano la stessa sorte: allietare i bambini ed esser graditi nei giorni di festa a grandi e piccini.