— Io — disse don Chisciotte — ne so un pochino di toscano e mi dò vanto di cantare qualche stanza dell’Ariosto. Ma mi dica vossignoria, signor mio, (e non dico questo perch’io voglia saggiare il suo ingegno, ma per curiosità e nient’altro): ha mai trovato nominata, nello scrivere, qualche volta la parola pignatta?

— Sì, molte volte — rispose l’autore.

— E come la traduce vossignoria in castigliano? — domandò don Chisciotte.

— Come dovevo tradurla — replicò l’autore — se non dicendo olla?

— Perdinci — disse don Chisciotte, — come è avanti vossignoria nella lingua toscana!

Cervantes, Don Quijote, Parte II, cap. LXII

 

Lo stravagante e improbabile cuoco toscano Mario Vigorone (al secolo il comico lombardo Massimo Boldi nei suoi primi sketch televisivi) chiedeva con insistenza al suo pubblico “come dite voi a Milano pentola a pressione? Noi a Firenze si dice pentola a pressione!”. Aggiungendo ad ogni occasione possibile lo slogan che lo rese noto al grande pubblico “Son contrario alla pentola a pressione!”. Chiosando il personaggio, insolitamente attento alla varietà linguistica del lessico italiano della cucina, vi chiediamo: come dite voi pignatta?

Non vi è zona linguistica del nostro paese, e in generale delle lingue romanze, che non conosca il termine pignatta inteso come contenitore da porre sul fuoco per cuocervi le vivande e non vi è dizionario, vocabolario o lessico di lingua o dialettale che non lo riconduca al termine più comune, qualcuno dice anche più nobile, “pentola”. L’antichità della parola pignatta è attestata già nella Cronica di fra’ Salimbene da Parma (XIII sec.) il quale ne offre una sorta di definizione “unam ollam nigram et tinctam quam pignattam dicunt” (latino olla, pentola). La produttività del termine è invece dimostrata dai numerosi derivati: a partire dal maschile pignatto, e ai vari diminutivi e accrescitivi: pignattino, pignatello, pignatazza, pignattone, etc… cui corrispondono diversi adattamenti dell’utensile a un uso specifico. Così, ad esempio, in alcune zone pignatta è il recipiente dalla pancia rigonfia, mentre il pignatto è il contenitore di forma cilindrica, adatto alla bollitura e trasporto del latte. Per il vocabolario della Lingua Treccani (1991) “pignatta è pentola di una certa capacità e piuttosto profonda, generalmente di terracotta; anche più genericamente, specialmente in usi regionali, pentola di qualsiasi tipo”;  inoltre “in generale tutti i vasi di terra dei quali ci serviamo in cucina” (Coronedi Berti, Vocabolario Bolognese-Italiano, 1969).

Quale l’origine di un utensile così universalmente indispensabile alla base della trasformazione di alimenti crudi in formidabili pietanze? Come per le pentole, e per ovviare a diaboliche dimenticanze, anche per le pignatte esiste un coperchio: “El diavol el fa i pignatt e el fa minga i coverc”, recita un proverbio milanese. Ed è proprio grazie al coperchio che il contenitore assume l’aspetto di una pigna, almeno nella sua forma materiale originaria antica (pancia rigonfia, fondo e bocca ristetti con coperchio a cono): tanto è bastato perché per lungo tempo l’etimologia di pignatta venisse ricondotta a pigna, dal latino pīnĕa (la stessa peraltro di pignatta inteso come laterizio impiegato in edilizia). Ma le cose, anche in fatto di lingua, non sono mai come appaiono. E prima di lasciarci affascinare dall’aspetto dovremmo indagare i rapporti etimologici fra parole e cose. In friulano pigna/pigne (Pirona, Vocabolario friulano, 1871) indica un contenitore molto profondo “in cui si dibatte il fiordilatte per farne il burro”, utensile che comunemente corrisponde alla zangola (probabilmente da un latino non attestato pinguea, a sua volta da pinguis). Pigna/pigne, e anche piña/peña nel senso di zangola, ha corrispondenze lessicali in Alto Veneto, Trentino, zona del Ladino e area dolomitica, mentre in area lombarda troviamo, sempre per zangola, penaja e penaga con forma non palatalizzata. L’esito di queste forme lessicali per zangola potrebbe ricondursi a una formazione tardo latina del tipo pinguia olla o simile, foneticamente evoluto in pingia e di seguito in piña (secondo un processo già ben documentato del tipo axungja in suña da cui il meglio noto sugna), con la perdita nel tempo del sostantivo olla. Il tardo latino pinguia nei dialetti qui menzionati ha il significato di burro, e nei dialetti italiani in generale di materia grassa, sia animale che vegetale.

Riassumendo: pinguia olla poteva essere sia un recipiente particolare per conservare il grasso (strutto, burro cotto, sugna, olio etc..) oppure un utensile per fare il burro (la zangola appunto). Da pinguia si produsse un piña/peña che con il suffisso –tta (normale nella produzione lessicale italiana) ha generato il nostro pignatta. Diffuso come contenitore per la conservazione di materie grasse, non solo nell’area alpina ma anche nelle Marche e zone centrali dell’Italia, la pinguia olla passò poi a designare in senso più generico il vaso, recipiente e di pentola di terracotta. Di tale origine “grassa” sembra tuttavia aver conservato memoria un detto napoletano “Nun fare uscire u grasso da u pignatto” nel senso di badare ai casi propri prima che a quelli altrui!