Gentile Professore, ho dei dubbi sulle forme tronche dell’infinito dei verbi: come vanno considerate? Si tratta di arcaicismi, oppure il loro uso è da considerarsi oggi informale? Questa apparente paradosso deriva dal fatto che spesso queste forme compaiono nel parlato. Spero di essere stato sufficientemente chiaro nell’esporre le mie perplessità.
Enrico

 

Gentile Enrico,
è stato chiarissimo e volentieri le rispondo.
La forma tronca dell’infinito, benché più comune in poesia o nei testi arcaici, è usata ancora oggi nello scritto e nel parlato, generalmente per ragioni eufoniche:
“Sembra proprio che faccia apposta a buttarla addosso a Sandro, a infilarla in mezzo tra lui e Giorgio, e piú tardi a farla ballar sempre o con l’uno o con l’altro” (Arbasino, La bella di Lodi, 1992)
“Per allora non la ne aveva neppure uno, se non forse quello di farsi amar troppo” (Nievo, Confessioni di un Italiano, 1858)
Perciò la forma tronca dell’infinito è da considerare alla stregua di una normale forma flessa, come vedo, vedi, vede,… vedono, vedrò, vedrai, etc.
Se le regole del gioco non prevedono le forme flesse allora le forme tronche degli infiniti non dovrebbero essere ammesse.
In effetti anche ‘dir, tor, por’ e simili compaiono nel vocabolario non come lemmi ma come rinvii a lemmi, per facilitare il lettore (come anche ‘vidi, ho, ha (2), trassi’ etc.).

Con i miei migliori saluti,
Lorenzo Enriques