Rapsodia Irachena Confrontarsi con i giochi di parole può essere una vera e propria sfida, perché non sempre è possibile mantenere in equilibrio la polisemia d’origine con la resa linguistica nella bilancia della traduzione finale. E se la lingua di arrivo non fosse abbastanza “ospitale” per l’ironia della lingua di partenza?

Mi sono chiesta spesso se, attraverso la mia traduzione, l’effetto satirico che si proponeva Sinan Antoon abbia raggiunto i lettori italiani di Rapsodia irachena (Feltrinelli, 2010).

Giocare sull’ambiguità per generare satira è la cifra narrativa del romanzo. L’autore (fine poeta oltre che romanziere) conosce bene le potenzialità polisemiche dell’arabo e le sfrutta abilmente per condire con ironiche allusioni la sua narrazione. L’ironia si sprigiona dalla contrapposizione di pseudo-omogrammi, ossia coppie di parole opposte per significato ma quasi omografe o omofone (ad es.: repulsione/rivoluzione, bastardi/ba‘thisti, iattura/cultura). L’uso di un simile espediente è reso possibile dalla particolare struttura linguistica dell’arabo, per cui basta cambiare qualche punto diacritico (ossia i puntini che distinguono alcune lettere arabe) o invertire l’ordine interno delle consonanti per ottenere un termine graficamente molto simile ma appartenente a tutt’altra sfera semantica. Questo doppio gioco è esilarante per il lettore arabo e dovrebbe diventare tale anche per quello italiano.

Prima di esaminare il binomio satirico più colorito, però, una precisazione sulla scelta editoriale di spostare le note dell’autore. Nel testo arabo originale, Sinan Antoon decide di inserire i termini irriverenti nel romanzo e creare un allegato con le note in fondo al libro per esplicitare coppia a coppia i giochi di parole, fornendo lui stesso la seconda e veritiera possibilità di lettura in una specie di legenda interpretativa ad uso dei lettori. Nella traduzione inglese, di cui l’autore è co-traduttore, le note dell’autore sono state inserite nel romanzo a piè di pagina, facendole inoltre seguire da un punto interrogativo a sottolineare l’ambiguità/pluralità di lettura. Nella traduzione italiana, invece, si è privilegiata la leggibilità: al termine satirico è stata affiancata la nota esplicativa incorporandola nel testo tra parentesi quadre seguita da punto interrogativo finale, allo scopo di rendere contiguo e immediato il gioco binario senza dover ricorrere alle note. In questo modo la giustapposizione dei giochi di parole che, a un primo impatto sembra proporre un’insolita edizione critica, rafforza l’effetto ambiguità-satira chiamando in causa la collaborazione del lettore. Inoltre, all’inizio del libro è stata aggiunta una fittizia “Avvertenza” per esplicitare ulteriormente la valenza degli inserimenti in parentesi quadra.

Così, nella prima pagina del libro, chi legge si imbatte nella coppia “Loffio [Leader?]”, nell’originale arabo القاعد : القائد. I due sostantivi si riferiscono a Saddam Hussein, mai esplicitamente nominato, ma sempre indicato nel testo arabo con il termine القاعد, letteralmente “colui che è seduto; inerte; scansafatiche, pigro, poltrone”.

Mentre in nota l’autore riporta la seconda e veritiera lettura: القائد, letteralmente “colui che guida, colui che comanda”, per intenderci l’equivalente di dux in latino o di leader in inglese. Se per un lettore arabo l’allusione satirica perseguita da Antoon è immediatamente recepita e l’equivalenza pigro = leader = Saddam Hussein è automatica, possiamo presumere lo stesso per un lettore italiano? Probabilmente, il riferimento subliminale a Saddam Hussein verrà raccolto pian piano nel corso del romanzo tramite il contesto culturale e politico in cui si colloca la storia, ma l’equazione pigro = leader informa fin da subito il lettore italiano che c’è qualcosa di strano: questo non è un leader degno di rispetto.

La lampadina di “loffio” si è accesa in fase di revisione (quant’è vero che le traduzioni hanno bisogno di lentezza!). Certamente risente della mia provenienza regionale, chissà cosa sarebbe venuto in mente a colleghi settentrionali o meridionali. Ben sapendo che i regionalismi sono di solito banditi in traduzione, personalmente “loffio” mi è sembrato più efficace di “pigro” o “poltrone” sia a livello formale (stessa iniziale e stesso numero di lettere di “leader”) che a livello semantico, perché rispetta con brio il concetto di fiacchezza morale e fisica dell’arabo mantenendo la sfumatura ironica perseguita da Antoon. Qualche settimana fa, sfogliando il Battaglia, ho scoperto che “loffio” aveva un precedente d’uso quanto mai illustre in Pasolini.

Infine, la scelta traduttiva di privilegiare il termine “leader” per tutta la versione italiana è stata motivata da una ragione di coerenza verso il lettore italiano, contando sul fatto che l’ufficialità del termine avrebbe finito per suggerire l’allusione al personaggio reale di Saddam Hussein, oggetto della sottile satira di Antoon.

Il doppio gioco degli omogrammi è continuato nelle pagine successive del romanzo alla ricerca di soluzioni altrettanto attente.

 

©Ramona Ciucani