Il romano Giuseppe Gioacchino Belli (1791-1863), vissuto svolgendo modesti impieghi nell’amministrazione pontificia, è autore della più grandiosa raccolta di sonetti della letteratura non solo italiana: il totale di 2279 fu raggiunto in due fasi creative, 1830-37 e 1843-49. Giudicandoli scandalosi moralmente e politicamente, Belli affidò gli autografi a mons. Vincenzo Tizzani con l’incarico di bruciarli dopo la sua morte; il monsignore, invece, li salvò, consegnandoli al figlio del poeta. Dopo quella incompleta di Luigi Morandi (1886-89), la prima edizione integrale fu curata da Giorgio Vigolo (1952). Nell’Introduzione Belli si trincerò dietro l’alibi della fedele documentazione, dichiarando di aver voluto «lasciare un monumento di quello che oggi è la plebe di Roma». In realtà, adottando un romanesco vivo e vigoroso, egli si trasferisce, non senza complicità, nelle strutture mentali del popolano e, dal suo punto di vista, legge e interpreta le cose di questo mondo e dell’aldilà. Gli effetti comici mimetizzano, senza cancellarla, una visione disperata dell’esistenza che travalica l’orizzonte romano.

Testo di riferimento: G. G. Belli, I sonetti, a cura di G. Vigolo, Milano, Mondadori, 1966.