Il milanese Carlo Porta (1775-1821) è una delle personalità più interessanti e originali della cultura letteraria italiana fra Sette e Ottocento. Restano di lui circa 200 componimenti in dialetto milanese. Vivente l’autore, ne furono pubblicati solo una cinquantina, nel 1817; Tommaso Grossi curò un’edizione postuma, più completa, nel 1821, da integrare con alcuni inediti usciti a Lugano nel 1826. Al culmine di una tradizione lombarda (Maggi, Balestrieri, Tanzi) che aveva usato il dialetto come strumento di una poesia moralmente e civilmente impegnata, Porta allarga i registri del “parlato” milanese, dando voce ai vari strati sociali, dal plebeo al borghese, all’aristocratico. La rappresentazione dolente degli “umiliati” del mondo popolare ha come controcanto la satira feroce delle caste clericali e nobiliari. Paragonabile in questo ai sonetti romaneschi del Belli, le poesie di Porta se ne differenziano per una salda fiducia negli ideali democratici del Risorgimento e del Romanticismo.

Testo di riferimento: C. Porta, Poesie, a cura di D. Isella, Milano, Mondadori, 1987.