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Il tuo Cristo è ebreo. La tua macchina è giapponese. La tua pizza è italiana. La tua democrazia greca. Il tuo caffè brasiliano. La tua vacanza turca. I tuoi numeri arabi. Il tuo alfabeto latino. Solo il tuo vicino è uno straniero. Così era scritto su un manifesto tedesco degli anni Settanta. Parole che mettono in luce come coloro che definiamo “altri” siano spesso il prodotto di una nostra costruzione e non una realtà oggettiva. Perché allora costruire l’altro? Perché è indispensabile per definire “noi”. Noi siamo ciò che l’altro non è ed è per questo che spesso, troppo spesso, configuriamo l’altro come icona di ogni male. Abbiamo bisogno dei cattivi, per pensarci buoni. Per conferma, leggere il finale della bellissima poesia di Kavafis, Aspettando i barbari.

Marco Aime, antropologo

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