Pride Month

Per chi non lo sapesse, giugno è il #PrideMonth, ossia il mese dell’orgoglio. Non più solamente gay, e nemmeno limitato alla sigla LGBT: è l’orgoglio per ogni tipo di amore; non a caso, l’altro hashtag che troviamo in circolazione è proprio #LoveIsLove.

In questo periodo si svolgono varie manifestazioni denominate inizialmente gay pride, perché si trattava di eventi organizzati per attestare pubblicamente la propria omosessualità. Oggi, invece, sono definite più semplicemente pride perché sfilano tutti, non solo i gay, sventolando le note bandiere arcobaleno che però, a ben guardare, sono diverse da quelle della pace (che ha il rosso in basso ed è arricchita dalla scritta pace, mentre quella dell’orgoglio omosessuale ha il rosso in alto ed è priva di qualsiasi scritta).

La bandiera dell’orgoglio fu inventata da Gilbert Baker, a San Francisco, nel 1978; inizialmente i colori dovevano essere otto, ognuno con un significato: il rosa per la sessualità, il rosso per la vita, l’arancione per la salute, il giallo per il sole, il verde per la natura, il turchese per la magia, il blu per la serenità e il viola per lo spirito. Il rosa e il turchese vennero in seguito rimossi per questioni pratiche, e oggi la bandiera contiene i sei colori rimasti: rosso, arancione, giallo, verde, blu e viola.

Vediamo, adesso, un po’ di parole legate a questo contesto. Prima di tutto abbiamo proprio gay, derivante dal corrispondente inglese che letteralmente vuol dire ‘gaio’, quindi ‘allegro, vivace, festoso’. Si usa, in italiano, per omosessuàle, cioè una persona che prova attrazione sessuale per persone del proprio sesso, soprattutto riferendosi a maschi. Anche le donne possono definirsi gay, oppure lèsbiche (il riferimento è a Lesbo, con allusione ai costumi attribuiti tradizionalmente alle donne dell’isola). A tale proposito, un termine che lo Zingarelli al momento non registra (ma ne vedremo anche altri) è butch (inglese ‘maschiaccio’), che indica la donna omosessuale con atteggiamenti mascolini (in contrapposizione alla femme). Oltre a gay, per indicare genericamente l’omosessualità sia maschile che femminile (o, ancora più latamente, chi ha gusti sessuali che si discostano dalla “norma”, se così si può dire) si usa anche il termine queer (inglese ‘diverso’), anche questo di origine sconosciuta inglese, e di importazione recente in italiano (1992).

In base all’orientamento sessuale di una persona possiamo distinguere, a parte gli omosessuali, gli eterosessuàli (che provano attrazione sessuale per persone di sesso opposto), i bisessuàli (che hanno tale attrazione per entrambi i sessi), i pansessuàli (che provano attrazione indipendentemente dal genere dell’altra persona) e gli asessuàli (che sono indifferenti alla sfera sessuale).

E fra monogamìa (vincolo coniugale che unisce due persone reciprocamente e in maniera esclusiva), bigamìa (correntemente, stato di chi ha due mogli o due mariti) e poligamìa (unione coniugale di un uomo con più donne [più precisamente poliginìa] o di una donna con più uomini [poliandrìa]) non dimentichiamo coloro che sono dediti al poliamóre o poliamorósi, che intessono una relazione intima fra più di due partner, tutti consenzienti.

Esiste anche la possibilità di tentare di definire le persone in base alla loro identità di genere. Abbiamo così i cisgènder (dall’inglese cis- ‘entro’ e gender ‘genere sessuale’, parola del 2013), cioè gli individui in cui sesso biologico e identità di genere coincidono; i transgender o transessuàli, persone che non accettano il proprio sesso e si identificano in quello opposto assumendone gli atteggiamenti e l’aspetto esteriore; una categoria particolare è quella delle drag queen, che sono uomini generalmente omosessuali o transessuali (ma non per forza), che adottano vistosi e bizzarri travestimenti femminili, specialmente per esibirsi in spettacoli di varietà. Negli intersessuàli coesistono caratteri sessuali maschili e femminili, mentre negli ermafrodìti coesistono specificamente gli organi sessuali primari maschili e femminili (Ermafrodito era il nome del figlio di Mercurio [Hermês] e Venere [Aphrodítēs], che ottenne di fondersi nel corpo della ninfa Salmace). Esiste anche il sostantivo e aggettivo genderless, che più che agli esseri umani si riferisce alla mancata distinzione tra genere maschile e femminile in particolare nella grammatica (riferendosi a lingue che non hanno forme grammaticali distinte per genere, come il finnico, l’ungherese e l’estone) o nel mondo della moda: sfilata genderless, collezione genderless.

Purtroppo, ancora adesso le persone tendono spesso ad avere (inutilmente) paura di chi percepiscono come “diverso”: ecco quindi l’omofobìa, avversione all’omosessualità e agli omosessuali, che dà due aggettivi: omofòbico ‘che denota omofobia’ e omòfobo, ‘che (o chi) dimostra omofobia’. Esiste anche la transfobìa, avversione per la transessualità e i transessuali (e anche qui, transfòbico e trànsfobo).

Ci mancano ancora da analizzare due espressioni che in italiano spesso vengono usate impropriamente. La prima è la dichiarazione pubblica volontaria della propria omosessualità, che è il coming out, in inglese letteralmente ‘uscita allo scoperto’; mentre il termine outing, spesso impiegato – sbagliando – per l’operazione di cui sopra (molti dicono: “faccio outing” per dire “faccio coming out”) indica la rivelazione pubblica dell’omosessualità di una persona senza il suo consenso preventivo. In altre parole, si fa outing di qualcun altro, e si fa coming out di se stessi.

Come si può vedere, le sfaccettature della nostra sessualità e identità sessuale sono numerose; il lessico riflette tale varietà. E con il passare del tempo si stanno aggiungendo nuove sfumature e nuove parole. Alcuni termini ancora non registrati nello Zingarelli, di cui si è parlato al Festival della Psicologia recentemente tenutosi a Roma, sono: sapiosessuàle, persona che ritiene l’intelligenza il fattore principale dell’attrazione fisica e che prova una vera e propria eccitazione fisiologica in presenza di qualcuno percepito come particolarmente intelligente; skoliosessuàle, persona attratta da partner gender variant, ovvero la cui espressione del genere non è conforme – per natura o per scelta – alle aspettative della società; demisessuàle, persona che sviluppa un’attrazione sessuale solo se con l’altro esiste un forte legame emotivo pre-esistente (ringrazio la psicologa e sessuologa Marta Giuliani per queste definizioni).

Oggi, parlare di LGBT è, insomma, decisamente démodé (‘passato di moda’): largo per l’acronimo ancora più inclusivo LGBTQIAPK, sigla inglese (ma usabile anche in italiano) che sta per lesbian, gay, bisexual, transgender, queer, intersex, asexual, pansexual, polyamorous e kink, termine, quest’ultimo, che denota tutti coloro che indulgono in pratiche sessuali kinky ossia “eccentriche” (come il bondage, pratica di tipo sadomasochista consistente nell’immobilizzare il partner con corde, manette, catene, bavagli e simili): l’importante è che tutti i partecipanti siano d’accordo.