Non mancano ricette, non secreti, non bevande per sodisfare agli appetiti di quelle che troppo credole danno orecchie alle lor frappe, porgon fede alle lor cianze, e ascolta[n] più che volontieri le pastocchie, delle quali essi abondano più che di soverchio

De’ ruffiani e delle ruffiane, T. Garzoni (La piazza universale di tutte le professioni del mondo)

 

 

Tempo di carnevale, tempo di frittelle e di… Grostoli? Bugie? Galani? Frappe? Come chiamate voi quell’impasto di farina, zucchero, uova, acquavite o grappa e sale che tirato a sfoglia sottile, ridotto a strisce smerlettate, mettete a friggere in abbondante olio, burro o strutto e servite poi spolverizzate di zucchero?

 

Il vocabolario della lingua italiana Zingarelli riporta per cencio, ovvero per la forma plurale cenci: “dolce di pasta all’uovo, tagliato a cerchi, rettangoli o strisce e fritto o cotto al forno, tipico del Carnevale”. Analoga definizione riporta Il Grande Dizionario Italiano dell’Uso di Tullio de Mauro (GRADIT) che ne conferma la toscanità. Entrambi i dizionari rimandano ad altri sinonimi regionali: bugie (piemontese, ligure), chiacchiere (lombardo), crostolo e/o grostolo (veneto), galano (veneto), frappa (emiliano, Italia centrale), sfrappole e sfrapla (bolognese), intrigoni (emiliano), fiocchetti (romagnolo), crespelle e sprelle (Italia centrale), meraviglie (Sardegna) e… sicuramente non li avremo elencati tutti. Con questo dolce del carnevale, siamo di fronte a un tipico caso di geosinonimia gastronomica: la forma toscana, cenci, attestata nei dizionari moderni, non ha scalzato le varie forme regionali o dialettali, tanto più che Pellegrino Artusi, romagnolo di nascita, toscano d’adozione, li chiama una volta per tutti cenci senza addentrarsi in sinonimi regionali e dialettali. Alfredo Panzini (Dizionario moderno, 1905) per cenci fritti riporta: “si dice in Toscana ciò che altrove si dice galani, fiocchetti, sfrappole, fiocchi, fiocchetti, nastrine, frappe, che è sfoglia fritta aggraziata di anice, burro, liquori e sbeccata a nastri con la rotella”. Paolo Monelli nel suo viaggio gastronomico attraverso l’Italia (Il ghiottone errante, 1935) racconta che nel mese di giugno “a Valdigna, ho bevuto un vino fatto con l’uva dei mille metri accompagnato da frappe dolci, proprio uguali alle sfrappole emiliane, di cui non vi posso dire il nome nell’idioma locale perché non l’ho scritto subito e la memoria mi ha tradito”. Per quanto sia un dolce tipico, tradizionale e popolare, pochissimi ricettari ne trattano: nella forma di grostoli li troviamo in Bartolomeo Scappi (Opera dell’arte del cucinare, 1570), il quale al posto delle uova, per colorare l’impasto, mette lo zafferano.

Cosa accumuna questi termini che i dizionari ci attestano, in fonti non letterarie, già dal ‘400? La forma stirata della pasta tagliata a fogge varie, ma soprattutto in nastri, dentellate e variamente attorcigliate che una volta fritta forma bolle e altri sfronzoli. Così è il cencio (in toscano, propriamente brandello e ritaglio di stoffa già attestato nel XIII sec.), galano (1579, derivato da gala, origine spagnola, per ciò che ancora Goldoni intende guarnizione, fiocco sfarzoso e grazioso da indossare in occasioni mondane e frivole), frappa e/o sfrappa (1427, dal francese antico, frangia, lembo frastagliato di vestiti, ma anche ornamento superfluo). Alla forma corrugata e rigida invece si rifanno i crostoli (ma già il latino crustŭlum significava “ciambella, confetto”), le crespelle e sprelle (entrambe dal latino crispus). E che dire invece per chiacchiere (propriamente: chiacchiere delle monache), bugie, intrigoni? Non sfugge certo un’accezione negativa per questo dolce tipico che si insinua ovunque nelle feste, a cui peraltro si ricongiungono i significati figurati  di “inganno, bugia” (GRADIT) per frappa (in quanto frangia, merletto) e per frappare “ingannare, ciarlare, millantare” (Dizionario etimologico italiano di Battisti-Alessio, 1950), e di galano (nel senso di “persona che ha tempo da perdere”, “cicisbeo” per il Tommaseo-Bellini). Si sa: a Carnevale ogni scherzo vale, inganno e maldicenza compresa.

Ma non solo di Carnevale pare: i dizionari contemporanei registrano i dolci come tipici ed esclusivi del periodo carnascialesco, ma nessuna indicazione temporale si evince dai ricettari consultati e probabilmente fin al ‘900 inoltrato cenci e compagnia sembrano essere stati i dolci popolari delle occasioni di festa.