Mio Caro. Ti mando un piccolissimo saggio di cibi quaresimali della Marca. Desidererei che fossero di tuo gusto, e più ancora, che tu scusassi l’estrema piccolezza del dono. Voglimi bene. Addio addio.

G. Leopardi, A Pietro Brighenti, 1826

 

A ogni tempo il suo dolce: dopo gozzoviglio carnascialesco un po’ di riposo a stomaco e fegato per il periodo che precede la Pasqua, senza rinunciare ai dolci.

Il calendario liturgico ha condizionato per lungo tempo il rapporto fra l’uomo e il cibo: fino al XIV secolo la dieta quaresimale escludeva latticini e uova, consentititi nei giorni di “magro”. E così nel Trecento ogni cibo si distingueva in “carnile o quaresimale” (M. Francesco da Buti, Commento sopra la Divina Commedia). In seguito, grazie a dispense temporanee, vennero riammessi anche in quaresima per divenire poi alimenti generalmente consentiti. Olio e burro potevano sostituire i grassi animali, spezie e sapori dovevano allietare e accondiscendere in ogni caso il palato.

Simili prescrizioni vennero recepite dai ricettari antichi più noti. Il libro per cuoco di un Anonimo veneziano del Trecento propone le Frittelle de pome per Quaresima (rondelle di mela in pastella di farina, zafferano, uva passa, quindi fritte). La mandorla, e il latte che se ne poteva ricavare, erano un ottimo succedaneo del latte (come ci suggerisce Maestro Martino nel suo Libro de Arte coquinaria nel XV secolo) al punto da confezionare dell’ottimo “butiro contrafacto in Quadragesima”. Con farina, mandorle, pinoli, uva passa, fichi secchi, miele, acqua rosata ancora Maestro Martino ci insegna a preparare delle “frictelle quadragesimale” da far friggere in “olio bono”. Sempre fritti, ma assai più parchi sono i “Grostoli per giorno Quadragesimale” suggeriti da Bartolomeo Scappi ne l’Opera dell’arte del cucinare: un composto di farina, latte di pinoli, zafferano, vino bianco e, una volta cotti, serviti con miele e spolverizzati di zucchero. Di tutti questi accorgimenti del reparto dolciario “di magro” non troviamo più traccia in Pellegrino Artusi che con i medesimi ingredienti (e l’aggiunta di uova e burro) ci propone la confezione di ottimi e non meglio qualificati biscotti caserecci, questa volta cotti al forno.

Se aggettivo e riferito al cibo, quaresimale indica un “vitto astinente, parco anche troppo” (Tomaseo-Bellini). Per Fanfani (Vocabolario dell’uso moderno, 1863) quaresima è anche “una mescolanza di frutte che più specialmente si mangiano in tal epoca, come fichi secchi, mandorle, uve secche…). Con quaresimale/i, sostantivo, si denomina una specialità dolciaria, un “tipo di biscotti e paste dolci impastati con solo olio, tradizionali, in varie regioni d’Italia, per la quaresima” (De Felice – Duro, Dizionario della lingua e della civiltà italiana contemporanea, 1974). Per Panzini (Dizionario moderno delle parole che non si trovano negli altri dizionari, 1950), i quaresimali “sono specialità fiorentina di dolci in forma di lettere o numeri”. Per lo Zingarelli 2013, quaresimale è invece una “pasta dolce con miele, pinoli e zibibbo, tradizionale a Roma durante la quaresima”, ed inoltre un “biscotto duro con mandorle, talvolta in forma di numero o lettera dell’alfabeto”. Il Grande Dizionario Italiano dell’Uso di Tullio de Mauro (GRADIT) tratta quaresimale come voce regionale rispettivamente toscana (al plurale, biscotti duri a forma di lettere o numero) e romanesca, se attestata al singolare, considerando inoltre quaresimale un sinonimo di maritozzo all’olio con pinoli, miele e zibibbo consumato esclusivamente durante la quaresima. La cucina italiana: grande dizionario enciclopedico (2007) ci spiega che quaresimale è sinonimo di maritozzo (considerata specialità romana), mentre quaresimali sono dolcetti molto semplici, tipici della Campania e della Puglia caratteristici del periodo della Quaresima. In particolare, i quaresimali campani risultano di consistenza friabile, sono preparati con farina, albume d’uovo e miele, distinguibili per il caratteristico colore scuro ottenuto facendo caramellare lo zucchero (oggi sostituito dal cacao). I quaresimali pugliesi invece si caratterizzano per la presenza di pan di Spagna, cannella, albumi, mandorle, scorza d’arancia e zucchero. Sappiamo che ci sono anche dei quaresimali siciliani, meglio noti come tagliancozzi, biscotti di mandorle tostate, frutti canditi, cannella e pistacchi.

E altrove, dove non siamo riusciti a individuare la forma dialettale nei rispettivi vocabolari, che nome e che forme hanno i quaresimali? È proprio nei nomi dei dolci che l’italiano regionale registra una gran varietà lessicale molto spesso costretta all’uso locale e alla pratica della cucina familiare e casereccia per l’imporsi di una industria dolciaria che ha allineato gusti e ricorrenze.