Per la verde lattuga trasparente,

fresca la foglia aperta al suo ventaglio,

c’è quest’olio di luce, queste mente

di poggio e dal suo tartaro fiorita

la viola d’aceto, spicca l’aglio.

Il carciofo nell’indaco s’abbruna

Al suo verde di panno e di laguna.

Rosso il radicchio a prendere s’avvita

Nel suo cespo croccante. È la tua tavola,

un giorno che riposa –nel nome di ogni cosa.

Ed è quasi una favola.

Alfonso Gatto, Olio e aceto, Rime di viaggio per la terra dipinta

 

The centre-left Olive Tree alliance is blessed with a lot of bright people. But it has looked more like a macedonia di frutta–a dainty little fruit salad–than a meaty dish. And–unsurprisingly, given the variety of its parts–it lacks a distinctive taste.

The Economist, April 13, 1996 (Italy‘s unappetising menu)

  

Al passar dell’equinozio d’autunno ci ritroviamo a far la rassegna dei vizi e delle virtù dell’andata bella stagione. È difficile non vituperare il gran caldo, ma è altrettanto difficile non esultare al pensiero dei colori che accendono orti e giardini, ai loro frutti che imbandiscono variopinte tavolate estive sotto forma di ricche e veloci insalate e macedonie. Insalata e macedonia? Chi sono costoro? Proviamo a indagare questi notissimi termini della lingua comune, oltre che di quella gastronomica.

 

Partiamo con insalata, che la maggior parte degli strumenti lessicografici consultati sono concordi nel definire come “pietanza costituita da erbe commestibili e verdure condite con sale, olio, aceto o limone” (Zingarelli 2014). La parola si incontra nel lessico volgare del basso medioevo come aggettivo per definire materie prime sottoposte a salagione (carne insalata, pesce insalato, oggi diciamo salata/o); in seguito, a partire dal XIV secolo e dalla area toscana, la forma aggettivale passa a quella sostantivale del tipo: insalata, ensalata, insaleggiata, salegiata, salatella etc. per indicare preparazioni fredde di verdure e carni, condite con olio, aceto, sale e pepe. La parola senza dubbio, e come confortano i dizionari etimologici, deriva da sale. Quello che incuriosisce è come la pietanza ricavi il nome da uno degli ingredienti che compaiono in misura assai esigua rispetto agli altri: forse per il valore elevato della materia in un’epoca in cui la disponibilità era funzionale alla conservazione di molti alimenti. In latino insalata era ăcētārĭa (da ăcētum) e acetarie sono per il Tommaseo-Bellini (1861-1874) “le erbe che mangiansi in insalata”. Per estensione, quindi, insalata da una parte indica l’insieme delle varietà coltivate di cicoria, indivia, lattuga che di solito si mangiano in insalata, dall’altra ogni piatto a base di ingredienti vari, crudi o cotti, che si condiscono con sale, olio, aceto o limone. Da qui discendono l’insalata di riso, di pollo, di pesce, insalata di mare, e la gustosa insalata russa, o insalata all’italiana su cui Antonio Jacono (Dizionario di esotismi, 1939) ci riferisce:

 

vivanda fredda dai molti ingredienti accozzati in una pasta densa e piccante: pesce, maionese, patate, carote, piselli, peperone etc. Noi, pur continuando a mangiar di questa acidula mischianza, potremmo però smettere di chiamarla insalata russa per chiamarla invece insalata composta, o insalata densa o insalata tricolore (dai tre colori in essa prevalenti), come già proponemmo noi stessi sui giornali, e come ha stabilito il Direttorio competente. Non sarà forse inutile notare che in Russia l’insalata russa passa per una insalata italiana, e anche in Germania e forse altrove.

 

Panzini (Dizionario moderno, 1942) alla voce insalata russa o alla russa riporta “per estensione conforme al francese, significa un piatto rifreddo di verdure cotte, pesci ecc., in salsa maionese e con sapore di aceto”. Che l’insalata russa potesse essere pure francese, oltreché italiana, poco importa perché con insalata si intende anche, nel suo senso figurato, “confusione, mescolanza di cose”. E infine, che ne dite di una bella insalata di frutta? Non è forse una locuzione che traduce pari pari senza sforzo l’anglicissimo fruit salad, da noi meglio intesa come Macedonia?

E veniamo allora a Macedonia. Il Vocabolario Treccani (1997) ci riferisce “composto a base di varie qualità di frutta tagliata a fettine o a pezzetti e variamente condita (succo di limone, zucchero, spumante o liquori)” e aggiunge, come del resto molti altri dizionari, “analogamente macedonia di verdura, contorno a base di verdure diverse, lessate e tagliate a dadini, variamente condite”. Forse che macedonia è sinonimo di insalata (sia essa russa, italiana o di frutta)? Proviamo a indagare sull’origine della parola che tutti i dizionari etimologici riportano come un francesismo da macédoine, termine che rimanda alla eterogeneità di popoli della Macedonia balcanica. Macedonia penetra nell’uso italiano, come termine della gastronomia, a partire dai primi anni del Novecento (ad attestarlo per primo è il Panzini, Dizionario moderno, 1918). Macedonia era anche una marca di alcuni prodotti da fumo (sigarette e trinciato) fabbricati in passato dal monopolio italiano dei tabacchi e molto richiesti nella prima metà del ’900 le cui materie prime provenivano dalla regione balcanica da cui prendeva il nome. Che sia un francesismo non vi è dubbio: compare, crediamo per la prima volta, nella Cuciniera piemontese (1815) adattamento di un ricettario francese del 1740, Le cuisinier guascon. Nella versione italiana compaiono due ricette, la Macedonia alla paesana e la Macedonia: in entrambi i casi di carciofi, fave, piselli, carote tagliati a piccoli pezzi, lessati, passati al burro o serviti con salsa. Pellegrino Artusi, alla fine dell’Ottocento nel suo La scienza in cucina, ci propone per Macedonia una sola ricetta a base di frutta che dichiara “io chiamerei con nome paesano di miscellanea di frutta in gelo, la quale sarà gradita specialmente negli infuocati mesi di luglio e agosto”. Insomma potremmo dire che per il palato italiano macedonia è soprattutto di frutta. L’Artusi, attento difensore oltre che della cucina anche della lingua italiana, propone un timido sinonimo al termine di derivazione straniera “macedonia”. Ma è l’unico a farlo: la parola non incorre nelle maglie dei più strenui difensori della lingua italiana ed è subito accolta nel linguaggio comune. Potremmo addurre due concause: la prima, il termine si impone ai parlanti quando oramai non aveva più senso operare uno stretto controllo sulla lingua invano tentato nel corso del secondo Ottocento (che non fosse insalata russa, alla fine vincente); in secondo luogo macedonia si rivela un facile e felice adattamento fonologico e morfologico dall’antecedente francese macédoine consentendo alla parola di stabilirsi definitivamente nell’uso linguistico. In breve: macedonia “suona bene” nel sistema del lessico italiano. Però a noi affascina molto la proposta di analisi di Migliorini-Duro (Prontuario etimologico della lingua italiana, 1950) per macedonia: “dal francese macédoine, probabilmente perché la macedonia di verdure conteneva del macerone”, e macerone non è altro che “prezzemolo macedone”, dal latino pĕtrŏsĕlīnum macedŏnicum.

 

Che di insalata di frutta o macedonia di verdure si tratti, la confusione linguistica anche in cucina è assicurata!