Dans la maison du vigneron les femmes cousent

Da Alcools, G. Apollinaire, Les femmes

 

Di raccolto in raccolto accogliamo l’ospite d’eccezione di una mensa che si definisca degna di ogni occasione: il vino. Avviata prematuramente quest’anno a causa di una prolungata siccità, la stagione della vendemmia sta chiudendo i battenti e consegnando ai vignaioli la materia prima per una bevanda antica quanto l’uomo. Della vite e del vino se ne presero cura sia Noè che Giove assicurandosi che la discendenza della pianta e del suo nettare accompagnassero quella dell’umanità. E Maria, madre di Gesù, implorò il figlio affinché proprio il vino non mancasse al banchetto delle nozze di Cana: e fu il primo miracolo.

La parola vino designa non solo il risultato di un processo di lavorazione ma anche l’insieme di operazioni che presiedono alla cura della vigna, ai trattamenti nella cantina, alla distribuzione, al consumo. L’uva non sarebbe nulla se il lavoro del torchio, l’inventiva e la cultura dell’uomo non lo avessero trasformato in vino. Il vino, come insieme dei processi che lo creano, può essere assunto a metafora dell’uomo, da Dante a Guccini, passando dalla vigna di Renzo dei Promessi Sposi, allo Zibaldone di Leopardi. E come l’uomo, il vino coagula attorno a sé una miriade di significati complessi, impliciti ed espliciti che hanno accompagnato il senso della convivialità di una parte dell’umanità, quella almeno della cultura mediterranea, poi cristiana, infine europea, in cui l’Italia ha da sempre un ruolo di spicco. La sua funzione non è solo quella di essere l’ospite d’eccezione della tavola: nell’iconografia e nella pittura la sua presenza al banchetto testimonia che la scena a cui partecipa è vera e credibile. Un testimone, silenzioso, del suo tempo, di ogni tempo.
A seconda dell’angolazione dalla quale si osserva il vino è pertanto nutrimento, è convivialità, è biodiversità, è economia, è marketing, è status symbol  in ogni momento della nostra civiltà.

“Buon vino fa buon sangue” dice il detto: e già la precettistica sanitaria medioevale lo additava come un immancabile medicamento, se di buona qualità e assunto in giuste dosi. Re, condottieri e soldati diretti alla battaglia lo assumevano per trarre forza e vigore nel combattimento. In tempi meno remoti, scrittori e poeti ne bevevano per creare paradisi artificiali e sferzare le muse ispiratrici secondo l’altro detto “in vino veritas”. In un modo o nell’altro il vino completa e integra le virtù di colui che se ne nutre, liberando, forse, il miglior ingegno.
Fin dai tempi remoti il vino si distingue per colore, sapore, consistenza, forza alcolica, modi di preparazione, funzione. Plinio il Vecchio nel I sec. D. C. ci dice che un vino alla sua prima degustazione può risultare dolce, morbido e fine, molle e tenue, sottile e delicato, debole o poco alcolico o insipido, e al contrario, potente e pieno fino a risultare acidulo, alcolico, pesante, spesso, grossolano e volgare. In fatto di percezione gustativa le cose dopo il Mille non cambiano di molto dato che un precetto della Regola Sanitaria Salernitana invita a bere vino di buona qualità “perché aiuta a generare umori positivi. Si eviti il vino nero in quanto impigrisce il corpo. Il vino sia chiaro, vecchio, sottile, maturo, bene temprato, vivace bevuto in dosi moderate”. Ma all’epoca il vino non veniva mai assunto allo stato puro bensì miscelato in giuste dosi all’acqua, talora anche acqua di mare, e profumato con spezie e altri aromi per preservarlo da malattie e garantirne il buon stato e, a noi sembrerà strano, la gradevolezza al palato. A proposito di sapore, chissà se il degustatore di oggi riconoscerebbe quegli attributi di dolcezza, leggerezza, potenza, forza nello stesso spessore di cui gli antichi ci tramandano nei loro trattati.
Più tardi, nel Cinquecento, quando la distinzione tra mense dei ricchi e mense dei poveri si farà più marcata, il vino migliore è quello destinato al signore. Pur non venendo mai a mancare presso nessuna classe sociale, considerato alimento di base, acquista un significato sociale pari al grado di chi lo beve e soprattutto lo offre ai suoi commensali. Il vino rappresenta il potere nelle sue forme più pure e rare, e rappresenta la miseria presso chi lo beve annacquato, miscelato, succedaneo.
Dovremmo aspettare l’Ottocento per conoscere un cambiamento nei modi di produrre, bere e servire il vino grazie a una razionalizzazione degli impianti, delle tecniche di vinificazione e di distribuzione a partire dal Piemonte di Cavour e dalla Toscana di Ricasoli. E anche per separarci dai ricordi di certe osterie e proiettarci negli attualissimi wine bar.

Da qui in avanti il vino non è più una storia italiana ed europea ma si fa mondiale, anzi globale. Assume quasi l’aspetto di un’eterna battaglia combattuta a suon di denominazioni (DOC, DOGC, IGT) appuntate come baionette su protocolli, normative e trattati in strenua difesa di un diritto di nascita che si perde nella memoria dei secoli. Il vino non rappresenta più con la sua etichetta una territorialità dai confini geografici ben precisa, piuttosto una tecnica di produzione o riproduzione in grado di attraversare oceani per soddisfare le papille gustative e sistemi sensoriali più esigenti. Si sottopone al giudizio di tribunali composti di raffinati giudici e degustatori dotati seduta stante di perfetti laboratori chimici situati tra narice, bocca, lingua e palato. E il vino non è più solo dolce o forte, sottile o delicato ma può divenire: animale, balsamico, iodato, medicinale o mentolato, muschiato e, se particolarmente timido, anche reticente! A seconda del suo carattere, il vino si presenta ai giudici come equilibrato, espansivo, preciso, piccante e qualora audace, anche intrigante! Se dotato di un certo corpo, può essere grasso e peggio ancora burroso, morbido ma anche, per gli amanti della forma fisica, lineare. Il perfetto sommelier interpretato da Antonio Albanese ci ricordava che il vino era bianco o rosso, buono o che “fa schifo”.
Dalla cura della vite alla mescita in bicchiere, le parole destinate al vino sembrano infinite adattandosi senza sosta a gusti, usi, costumi, pratiche e gestualità inventate e reinventate dall’uomo. Quasi che nel processo di creazione e ricerca di perfezionamento del nettare di Bacco l’uomo riesca a rivivere la propria creazione e attesa di miglioramento. Prosit e salute a tutti!