Sulla parità di genere
Gentile professore,
mi capita a volte di leggere testi che riportano (per esteso o in forma sintetica) entrambi i generi di uno stesso termine, graficamente disgiunti dalla barra di separazione.
È il caso di un messaggio diretto a più persone – tutte indicate in indirizzo – nel quale i pronomi ad esse riferiti sono riportati in forma simmetrica abbreviata “ognuno/a” e “ciascuno/a”.
A me pare che nell’esempio fatto, tale modalità oltre a nuocere al ritmo e all’estetica della comunicazione, sia doppiamente superflua in quanto i destinatari del messaggio sono ben identificati (per cui non occorre esplicitare i due generi dei pronomi) e i pronomi indefiniti ognuno e ciascuno sono di per sé inclusivi.
Così come sembra eccessivo precisare che gli alunni/e sono diligenti, che i/le docenti interrogano o, in forma più estesa, che gli studenti /le studentesse studiano, i colleghi/le colleghe lavorano… quando basterebbe la regola basilare del maschile unificante.
Credo che la parità di genere debba applicarsi in grammatica cum grano salis, quando è necessario evitare le ambiguità e facilitare la comprensione. In caso contrario i testi sarebbero illeggibili.
O dovremmo attenderci che in una Costituzione riformata allo scopo Tutti/tutte i cittadini/e hanno pari dignità o peggio, sospettare che nelle aule di giustizia la formula Tutti sono uguali davanti alla legge riguardi solo gli uomini?
Mi chiedo: Pirandello avrebbe mai titolato la sua opera “Uno/a, nessuno/a e centomila”?
Che cosa ne pensa?
Cordiali saluti.
Maria
Gentile Signora,
concordo con tutto ciò che lei ha così ben scritto.
Il Professore