Dopo le prime raccolte delle Canzoni (1824) e dei Versi (1826), il corpus poetico leopardiano assunse fisionomia di libro nell’edizione fiorentina del 1831 (23 poesie) col titolo Canti, che si confermò nell’edizione napoletana del 1835 (39 poesie) e in quella postuma del 1845 (41 poesie). Nel nucleo più antico si alternano due registri: l’alta retorica delle canzoni (patriottiche, civili, filosofiche) e il limpido dettato degli idilli (da L’infinito a La vita solitaria). Seguono i canti del periodo pisano-recanatese, con i temi centrali del villaggio (Recanati), della “ricordanza” e dell’interrogazione alla natura (da A Silvia al Canto notturno); quindi il “ciclo di Aspasia”, ispirato da un amore infelice, e il canto conclusivo La ginestra, che alla polemica contro l’ingenua fiducia nelle «magnifiche sorti e progressive» associa un profondo sentimento di pietà e fratellanza verso l’«umana compagnia». La conquista di una nuova lirica, che sia insieme meditazione e canto, accomuna Leopardi ai grandi iniziatori della poesia moderna (da Hölderlin a Baudelaire). Il titolo Canti, senza precedenti nella letteratura italiana, vuole indicare una «poesia senza nome», cioè svincolata dai generi e dai metri della tradizione.

Testo di riferimento: Tutte le opere di G. Leopardi, a cura di F. Flora, I, Milano, Mondadori, 1958.