Game of Thrones

Proprio in questi giorni arriva a conclusione una delle serie televisive più controverse degli ultimi tempi: dopo otto anni, va in onda la puntata finale di Game of Thrones (e non *Games: noi italiani tendiamo a mettere o togliere le s del genitivo e del plurale inglese un po’ a caso, a volte!). La versione italiana è intitolata Trono di spade: si tratta di una vera e propria epopèa, o forse, più precisamente, una sàga (dal tedesco Sage ‘racconto’), dato che segue le vicende non tanto di un popolo o di una letteratura, quanto piuttosto di una casàta, quella degli Stark. In particolare, i protagonisti della serie sono i figli, o potremmo dire la progènie (dal latino progĭgnere ‘generare, produrre’) o discendènza di Eddard “Ned” Stark, signore di Grande Inverno (Winterfell).

Saga

Non preoccupatevi, parlerò di questo vero e proprio cult (che pronunciamo o all’italiana o all’inglese, /kàlt/) senza spòiler, cioè senza svelare particolari salienti della trama, soprattutto di queste ultime, attesissime puntate: so che i fan della serie sono particolarmente sensibili all’argomento e non me lo perdonerebbero, quindi leggete tranquilli!

spoiler

Partiamo dalla scelta delle parole per il titolo italiano: tròno deriva dal latino thrŏnu(m), che proviene con la consueta trafila dal greco thrónos, formato su una base indoeuropea non del tutto chiara, ma diffusa in numerose lingue. Nella serie compaiono molti troni, ma il catalizzatore della storia è quello su cui deve sedere il signore o sìre (dall’antico francese sire, dal latino seniōre(m)) di tutti i regni e tutte le casate di Westeros, il continente occidentale dell’universo creato dallo scrittore George R.R. Martin (il continente orientale, invece, si chiama Essos, e ha un ruolo rilevante in alcune stagioni della serie). Questo trono è formato da un groviglio di spàde (dal latino spătha(m), greco spáthē, propriamente ‘spatola’), il che spiega la scelta italiana: nella versione inglese lo stesso viene nominato come iron throne, cioè ‘trono di ferro’.

Il trono di spade è il motore di tutta la storia, che ruota attorno alla lotta delle varie casate per salirvi; tuttavia, al di là di troni e di spade (e quindi di gustosi momenti di duelli o battaglie) la serie ha affascinato in maniera totalizzante milioni di spettatori sparsi per tutto il globo grazie all’attenzione per l’evoluzione personale dei personaggi, mai completamente buoni o cattivi, e forse proprio per questo particolarmente umani. Nel corso di questi anni, ci siamo particolarmente affezionati ai fratèlli Stark. Qui siamo costretti a usare il maschile sovraesteso, anche se tra di loro ci sono anche due sorèlle; l’italiano, infatti, non ha un traducente esatto per sibling, ossia ‘persone nate dagli stessi genitori, senza specificazione di sesso’: germàno, che qualcuno propone come corrispondente italiano, ha in realtà il suo femminile germàna, quindi di nuovo non possiamo definirlo un termine “neutro” o ambigenere. Tra i ragazzi Stark abbiamo seguito da vicino le vicissitudini di Jon Snow, il bastàrdo (cioè figlio illegittimo, dall’antico francese bastard) di Ned, delle cui origini si sa molto poco per diverse stagioni.

Due elementi ricorrenti dell’epopea sono le nòzze (che spesso, nel racconto, finiscono tragicamente, come le arcifamose Nòzze Rosse, in inglese Red Wedding) e, ahinoi, gli incèsti, con conseguenze spesso molto gravi. Nòzze deriva dal latino nŭptiae, nominativo plurale del participio passato di nūbere ‘sposarsi’, da cui anche l’aggettivo nùbile; il tutto pare che sia da ricondurre al sostantivo nūbes ‘nuvola’, dato che le spose venivano avvolte in una… nuvola di velo. Incèsto, invece, dal latino incĕstu(m), composto di in– e căstus ‘casto’ quindi ‘non casto, impuro’, indica un rapporto sessuale tra due consanguinei stretti che, oltre a essere oggigiorno reato, può provocare anomalie gravi nell’eventuale nascituro, ad esempio una certa predisposizione alle patologie mentali (e nel Trono di Spade ne abbiamo più di un esempio!). Nel racconto non mancano violènze di ogni genere, compresi gli stùpri, atti sessuali imposti con la forza (dal latino stŭpru(m) ‘disonore, vergogna’; dapprima usato in senso generale come ‘fatto stupefacente’), tanto che, nel corso degli anni, la serie si è attirata anche l’accusa di essere decisamente diseducativa per la quantità e qualità della violenza esibita.

Piuttosto che entrare in questa diàtriba (accentazione più corretta rispetto a diatrìba, che però è più diffusa), vediamo alcune altre delle parole chiave di GOT (chiamato così, in amicizia, riducendo ad acronimo il titolo inglese). Sicuramente abbiamo invèrno (latino hibĕrnu(m), sottinteso tĕmpus ‘(tempo) invernale’, aggettivo da hĭems, di origine indoeuropea), dato che Winter is coming ‘l’inverno sta arrivando’ è il motto della casa Stark; non dimentichiamoci di barrièra (dal francese barrière, da barre ‘barra’), nell’originale inglese wall ‘muro’, l’alta fortificazione di ghiaccio e pietra che protegge i confini settentrionali dei Sette Regni dai Brùti. Questa parola viene dal latino brūtu(m), di origine osca, col senso primitivo di ‘grave, pesante’; in inglese i Bruti sono chiamati Wildlings, ma loro stessi si autodefiniscono Pòpolo Libero (Free Folk). Oltre la barriera vivono anche i terribili Estrànei (dal latino extrāneu(m) ‘di fuori’), in originale White Walkers, che, come ben sappiamo noi fan, hanno un ruolo rilevantissimo nella storia dei nostri beniamini.

Mi sono volutamente lasciata per la conclusione i miei personaggi preferiti di tutta l’epopea di GOT: i dràghi. La parola proviene dal latino drăco (nominativo), che all’accusativo fa dracōnem (da cui dragóne), dal greco drákōn, di etimologia discussa, forse connesso col verbo dérkesthai ‘guardare’ con riferimento allo sguardo paralizzante che si pensava avesse questa creatura mitologica.

Drogon, Viserion e Rhaegal non sono sicuramente rassicuranti come il meraviglioso Sdentato di Dragon Trainer (ve lo ricordate?), ma, pur essendo magari meno coccolosi, rimangono impressi nella mente di noi spettatori per il loro aspetto maestoso e le loro imprese. Il comando che la “Madre dei draghi” Daenerys Targaryen lancia ai suoi “cuccioli” per far loro vomitare fuoco è dracarys: ormai così familiare agli amanti di GOT che in rete sta iniziando a girare un verbo più o meno con il significato di ‘mettere a ferro e fuoco’, ‘ridurre in cenere’, ‘radere al suolo’: dracaryzzare. Chissà che un giorno non ce lo ritroviamo nel dizionario!

Non posso che congedarmi con il più classico dei saluti in alto valyriano, una delle lingue inventate dal vulcanico Martin: Valar Morghulis (“tutti gli uomini devono morire”), a cui sapete bene come rispondere, vero? Valar Dohaeris (“tutti gli uomini devono servire”), ovviamente!